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La conferma ufficiale dell’ingresso di Italia, Francia e Germania come membri fondatori nella Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la banca di sviluppo promossa dalla Cina, ha scatenato le reazioni degli Stati Uniti. Non più solo vaga irritazione, ma critiche aperte. Mentre la stampa americana commenta impietosa il “disastro diplomatico” che ha reso più “isolata” e “messo in imbarazzo” l’amministrazione Obama, l’America attacca gli alleati e cerca di correre ai ripari puntando su una rapida ratifica della riforma della governance del Fondo monetario internazionale in stallo da anni.

LE ADESIONI UE

“La AIIB, quale nuova banca d’investimento che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, può svolgere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia. In questo modo, la AIIB promuoverà lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuirà alla crescita mondiale”, ha dichiarato il nostro ministero del Tesoro, Pier Carlo Padoan. “Francia, Germania e Italia, operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, intendono lavorare con i membri fondatori della AIIB per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti”. Intanto il ministro delle Finanze del Lussemburgo ha confermato che il Paese ha presentato richiesta per entrare nell’AIIB e la Commissione europea ha approvato l’ingresso dei paesi Ue come strumento per rispondere alle necessità di investimento globali e preziosa opportunità per le aziende Ue.

“Welcome Germany! Welcome France! Welcome Italy!” ha scritto l’agenzia di stampa cinese Xinhua News alla quale il professor Stefano Gatti della Bocconi di Milano ha detto che “non c’è niente di poco trasparente” nell’ingresso dei paesi Ue nell’AIIB ma solo la volontà di investire in una grande economia emergente.

Un portavoce del governo dell’India (che pure è nell’AIIB) ha fatto sapere che i membri della banca di sviluppo cinese si incontreranno ad Almaty, in Kazakhistan, il 29-31 marzo per discutere gli articoli dell’accordo.

WASHINGTON: “PENSATECI BENE”

Washington non ha usato mezze parole nei confronti dei suoi alleati occidentali invitandoli a “pensarci due volte” prima di firmare il loro ingresso definitivo nella rivale della Banca mondiale. In particolare, il segretario americano al Tesoro Jacob Lew ha criticato il supporto europeo alla banca di sviluppo cinese mettendo in dubbio la governance del nuovo istituto: “Quello che ci preoccupa è se aderirà agli alti standard che gli istituti finanziari internazionali hanno sviluppato”, ha detto Lew parlando al Comitato sui Servizi finanziari della Casa dei rappresentanti. “Proteggerà i diritti dei lavoratori e l’ambiente, affronterà in modo adeguato il problema della corruzione? Spero che prima che venga ratificato l’impegno finale, chiunque voglia legare il proprio nome a questa organizzazione si assicuri che questi temi siano adeguatamente affrontati”.

IL NODO DEL FMI

La partecipazione dell’Europa riflette il desiderio di essere parte dell’economia cinese, la seconda più grande al mondo. Ma non solo. L’Unione europea e i governi asiatici sono “frustrati” dal fatto che il Congresso Usa ha bloccato la riforma dei diritti di voto all’interno del Fondo monetario internazionale – riforma che darebbe alla Cina e ad altri paesi emergenti come i Bric più voce sulla governance economica globale.

“L’AIIB è un progetto fortemente voluto dalla Cina e viene vista da molti osservatori come una ‘concorrente’ di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Asian Development Bank, dove gli Stati Uniti hanno un ruolo di primo piano nel capitale e nelle scelte strategiche – ha scritto  Il Sole 24 Ore. – Da tempo la Cina chiede una riforma della governance di queste istituzioni per dare maggior peso ai paesi emergenti, ma i progetti sono in stallo al Congresso americano. La divisione delle sfere d’influenza delle istituzioni nate a Bretton Woods prevede che a capo dell’Fmi sieda un europeo e alla testa della Banca mondiale un americano, mentre nell’Asian Development Bank, la cui sede è a Manila, è forte l’influenza del Giappone. Pechino ha tentato, finora invano, di modificare questi equilibri”.

Il Congresso americano, tenendo in stallo la riforma per cambiare la governance del Fmi, mina gli interessi economici e di sicurezza nazionale degli Usa, ha indicato lo stesso Lew al Comitato sui Servizi finanziari. “La nostra credibilità e influenza internazionale è minacciata. Non è un caso che le economie emergenti guardino ad altri istituti perché sono frustrati dal fatto che gli Stati Uniti esitano ancora su delle riforme del tutto ragionevoli del Fmi”. Questo mette a rischio, ha continuato Lew, la leadership americana nelle istituzioni finanziarie globali. L’approvazione rapida della riforma della governance del Fmi da parte degli Usa “aiuterebbe a convincere le economie emergenti a restare ancorate al sistema multilaterale che gli Stati Uniti hanno contribuito a forgiare e che guidano”, ha concluso Lew.

Scott Morris, ex del ministero del Tesoro Usa, concorda. “Diversi paesi condividono la stessa sensazione: vorrebbero rendere disponibili più capitali per le infrastrutture attraverso le banche di sviluppo multilaterali ma gli Stati Uniti si ergono a ostacolo. La conseguenza è che gli Usa si sono ritrovati isolati”, afferma Morris.

LA POSIZIONE DEL GIAPPONE

Il Giappone si è allineato alla posizione americana esprimendo forti dubbi sulla credibilità della banca di sviluppo che la Cina sta creando e che minaccia di ridurre l’influenza dell’Asian Development Bank (ADB).

“Sarà in grado questa banca di assicurare una equa governance?”, osserva il Capo segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga. “Terrà conto della sostenibilità dei prestiti o finirà per infliggere perdite ad altri creditori?”.

Anche per il Giappone il successo della banca di sviluppo cinese è una cattiva notizia, visto che il primo ministro Shinzo Abe sta cercando di ritagliare per il suo paese un ruolo di maggior peso sul panorama globale e di rafforzare il legami con gli Usa e altri governi per risolvere le dispute territoriali ancora in atto con la Cina.

“Washington e Tokyo si preoccupano che la Cina ora potrà espandere ulteriormente la sua influenza nella regione a loro spese”, commenta Jeff Kingston, professore di studi asiatici alla Temple University Japan.

Ma per alcuni osservatori giapponesi, “Usa e Giappone avrebbero potuto impegnarsi di più sia nell’ambito della Banca mondiale che del Fmi per accogliere gli interessi della Cina e allentare il predominio del Giappone sull’ADB. Non riuscendo a dare voce alle economie emergenti queste instituzioni rischiano di veder marginalizzato il loro ruolo nel lungo periodo. Il Giappone dovrebbe cercare di entrare nell’AIIB e usare la sua influenza dall’interno. Singapore, unica economia asiatica avanzata tra i membri fondatori dell’AIIB, spera che il Giappone entri e la aiuti a dare peso alle iniziative per forgiare la governance del nuovo istituto”.

OPPORTUNITA’ IN ASIA

Ovviamente l’AIIB non ha le stesse dimensioni dell’ADB. La banca di sviluppo cinese ha un capitale di 50 miliardi di dollari, un terzo di quello della banca asiatica controllata da Giappone e Usa (153 miliardi a fine 2014). L’ADB ha anche 67 membri contro circa 30 per l’AIIB. Inoltre l’ADB ha messo in conto di espandere le sue operazioni di lending nei paesi in via di sviluppo che ne fanno parte (15-17 miliardi di dollari dal 2017, contro gli attuali 13 miliardi). Ma l’Asian Development Bank esiste da 50 anni, quella cinese, formalmente lanciata nel 2013, sta ancora definendo il suo statuto e raccogliendo adesioni. Il ritmo di crescita potrebbe essere veloce e sia Washington che Tokyo sono intenzionate a fare di tutto per frenarlo: il ministro delle Finanze giapponese Taro Aso ha sottolineato che la firma del memorandum of understanding fatta dai paesi che hanno aderito all’AIIB permette ancora di uscirne se le loro richieste, in termini di standard e governance, non sono garantite.

“Entrando nella banca di sviluppo cinese senza trattare su adeguati standard di governance, le nazioni europee hanno dimostrato che quando si tratta della Cina si lasciano guidare dal portafoglio”, critica Thomas Wright, fellow e director del Project on International Order and Strategy della Brookings Institution. “Questo è un duro colpo ai tentativi di Usa e Giappone di convincere l’Europa ad agire per motivi diversi dalle opportunità commerciali e assumere un approccio strategico all’Asia”. Ma Kingston della Temple University Japan non è d’accordo: “Attaccarsi non porta da nessuna parte. Mi sembra perfettamente sensato per dei paesi democratici partecipare perché questo aiuterà a migliorare la governance e la trasparenza del nuovo istituto”, dice. Le necessità infrastrutturali dell’Asia sono enormi (700 miliardi di dollari annui secondo alcune analisi) “e le nuove risorse dell’AIIB non possono che essere le benvenute”.

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