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Non sono in pochi a credere che Sergio Mattarella, da oggi al Quirinale, troverà utile l’esperienza maturata come ministro della Difesa. Lo testimoniano le sue prime azioni e parole, come la visita alle Fosse Ardeatine, dove ha esortato l’Europa e il mondo a rimanere uniti per battere “chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore“, ma anche nel suo discorso d’insediamento di oggi, quando, parlando dei tagliagole dell’Isis davanti alle Camere, ha ricordato che “per minacce globali servono risposte globali“, evidenziando sintonie obamiane.

Come l’inquilino della Casa Bianca, Mattarella ha rimarcato che “considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore. La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza“. Aggiungendo che “la pratica della violenza in nome della religione – ha affermato – sembrava un capitolo chiuso della storia, da tempo. Va condannato e combattuto chi strumentalizza ai fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa“.

D’altronde, durante il suo mandato alla Difesa, tra il 1999 e il 2001, il successore di Napolitano si è confrontato con due dimensioni fondamentali per uno Stato moderno: quella internazionale e quella della difesa e della sicurezza.

I RAPPORTI TRANSATLANTICI

In lui – traspare dai racconti di chi lo ha conosciuto -, non è mai venuta meno la bussola dell’atlantismo e della collaborazione politico-militare con Washington. “Nella veste di vice-premier nel governo guidato da Massimo D’Alema tra il 1998 e il 1999ha raccontato Paolo Cirino Pomicino, parlamentare e ministro di lungo corso della Dc condivise la scelta di mettere a disposizione della Nato le basi militari di Vicenza per favorire il decollo degli aerei che andavano a bombardare Belgrado. Era l’epoca della guerra nel Kosovo, e tale scelta costituisce un fattore di fiducia per gli Stati Uniti“.

IL PROFILO ESTERO

Una valutazione espressa anche dal generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e consigliere militare del premier D’Alema quando Mattarella era il titolare della Difesa, che ne traccia il profilo estero. “Il governo presieduto da Massimo D’Alema, di cui Mattarella era ministro, ha avuto rapporti eccellenti con gli Usa. Questo nonostante ci fossero stati eventi come quello del Cermis, che rischiarono seriamente di deteriorare le relazioni tra i due Paesi. Ma erano solide e lo sono rimaste anche con i governi che si sono succeduti. Personalmente, non sono sicuro che sia una dimensione irrinunciabile, perché l’attività di un capo dello Stato in quel frangente è spesso di carattere puramente protocollare. Tuttavia è importante che ci sia. L’importante è che queste qualità siano in armonia con la dimensione estera di Palazzo Chigi“.

IL RACCONTO DI ARPINO

Le solide credenziali di Mattarella come ex ministro della Difesa ed esperto d’intelligence – scrive l’analista Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar – fanno di lui un vero veterano. E, chi lo ha conosciuto “sul campo”, come il generale Mario Arpino, allora capo di Stato Maggiore della Difesa, racconta che il primo contatto con Mattarella non fu tenero, ed ebbe a che vedere proprio con la missione internazionale in Kosovo. “La decisione di partecipare alle operazioni reali era stata, come al solito, sofferta, contrastata e mal digerita anche in seno alla maggioranza. L’ordine politico era di non parlare di operazioni di attacco, ma solo di difesa. Suona il telefono, alzo la cornetta e mi passano l’interlocutore, che, senza preamboli, attacca così : “…sono Mattarella (allora vice premier con D’Alema a Palazzo Chigi, ndr). Ho saputo che un suo dipendente, il comandante del gruppo Tornado di Piacenza, al rientro della squadriglia dalla missione ha rilasciato un’intervista dove ha raccontato di aver lanciato dei missili contro postazioni radar serbe… E’ inammissibile. La ritengo personalmente responsabile…”. Quando Mattarella avvicendò a palazzo Caprara Carlo Scognamiglio, Arpino ebbe poi modo di apprezzarlo e di condividere con lui e il suo capo di Gabinetto, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, una riforma che ha trasformato in poco tempo il modo di essere, di operare e di proporsi delle nostre Forze Armate.

L’AUSPICIO DI TRICARICO

In fondo, ha spiegato Tricarico, il mandato di Mattarella da ministro della Difesa fu assecondato proprio “dall’avere a sua disposizione come capo di gabinetto Giampaolo Di Paola e come capo di Stato Maggiore della Difesa Mario Arpino. Due elementi di prim’ordine che gli hanno consentito di fare il ministro delegando molto e dormendo sonni tranquilli. Sul versante degli Affari esteri, contava sulle competenze dell’ambasciatore Francesco Maria Greco.

Per Tricarico, il suo avvento al Quirinale può essere l’occasione per ridare slancio all’operato delle forze armate, caratterizzate da “una deriva verso un loro uso non militare” e da un “contestuale disimpegno militare in aree di crisi” proprio mentre “le crisi si moltiplicano”. Mattarella, chiosa il generale, “non partirà da zero, ma avrà già un background per valutare questa situazione“.

IL DUBBIO

Questo auspicio, però, ha notato Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano, potrebbe scontrarsi con la realtà: “Da capo delle forze armate (Mattarella, ndr), sarà cauto nell’impegnare l’Italia in teatri di guerra (è stato favorevole all’intervento in Afghanistan, con copertura Onu, ma non a quello in Irak)“. E lo stesso Mattarella, nel suo discorso d’insediamento ha ricordato: “Garantire la Costituzione significa ripudiare la guerra e promuovere la pace“. Se non un programma, quantomeno un invito.

Mattarella, i legami con gli Stati Uniti e le sintonie obamiane

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