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Il fallimento delle trattative sabato a Minsk ha ridimensionato di colpo le speranze di fermare una nuova escalation di violenza in Ucraina. I morti aumentano e lì, ai confini di Kiev, si combatte molto più di un conflitto regionale. La Russia – ha allarmato nella sua prima relazione annuale il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg – diventa giorno dopo giorno più aggressiva e sempre più pronta all’uso della forza, agitando lo spettro di una guerra nel cuore dell’Europa democratica.

Gli Usa suonano da tempo la sveglia a Bruxelles e al resto dell’Alleanza Atlantica, tentando, in larga parte inascoltati, di richiamare l’attenzione su quella che considerano una vera e propria emergenza di sicurezza.

ARMARE L’ESERCITO?

A Washington, spiega il New York Times, prende forza la tesi di chi ritiene necessario affiancare la tenaglia delle sanzioni a un sostegno alle forze ucraine. Gli Stati Uniti sarebbero pronti ad armare l’esercito di Kiev e a sostenere questa linea sono ormai in molti: tra questi il comandante militare della Nato, il generale Philip Breedlove, il capo di Stato Maggiore Martin Dempsey e il consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice. Mentre poche settimane fa era stata una voce di peso come quella di Zbigniew Brzezinski, a dichiarare pubblicamente che gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero dispiegare truppe nei Paesi baltici per dissuadere la Russia dal mettere in atto una possibile incursione in quei Paesi. Un’opinione che pesa, dal momento che il politologo, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, è tutt’ora uno dei consiglieri più ascoltati dell’amministrazione Usa.

Mosca è in difficoltà, notano diversi osservatori: complice il crollo del prezzo del petrolio, la situazione finanziaria del Paese si sta deteriorando in fretta, tanto da aver spinto Putin a varare un piano straordinario di stimolo all’economia. Dare man forte all’esercito ucraino potrebbe costituire la spallata finale, ma si spera ancora nel negoziato occidentale, che proseguirà senza sosta nei prossimi giorni.

L’AGENDA DI KERRY

L’agenda diplomatica del segretario di Stato americano è densa di appuntamenti, a loro modo cruciali. Giovedì, John Kerry volerà a Kiev per incontrare il presidente ucraino Petro Poroshenko. Un incontro al quale seguirà venerdì un summit con il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Anche in questo caso non sono escluse nuove e più dure sanzioni nei confronti della politica adottata dal Cremlino, che dopo aver annesso unilateralmente la Crimea, ha foraggiato economicamente e militarmente le forze ribelli nell’Ucraina dell’Est.

I DATI DEL CONFLITTO

I numeri del conflitto che contrappone il governo di Kiev ai separatisti filorussi ad est sono chiari. Secondo le stime dell’Onu, dallo scorso aprile sono state oltre 5mila le vittime del conflitto nell’Ucraina dell’est e 900mila persone hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni.

UN BILANCIO DRAMMATICO

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, Obama ha sottolineato come le misure punitive degli Usa stiano funzionando. E in parte è vero. Standard&Poor’s – ha ricordato su Formiche.net Laura Magna – ha degradato la Russia fino al livello spazzatura. E i suoi guai non sono finiti e nelle prossime settimane, secondo quanto sostiene Stratfor “governo e Duma elaboreranno proposte per tagliare il bilancio dello Stato per il 2015″. Secondo il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, “il governo potrebbe tagliare il 10% dei finanziamenti pubblici per tutti i settori eccetto la difesa. Una scelta drastica che conferma che l’economia russa sia in calo più rapidamente del previsto”. Tuttavia Mosca non sembra voler tornare indietro sui suoi passi e, anzi, come ha ricordato l’Osce in una nota, ha ripetutamente violato, sostenendo i ribelli, il cessate il fuoco del protocollo di Minsk e del memorandum di settembre scorso. Ecco perché una svolta nel conflitto appare sempre più probabile.

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