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La Difesa europea, da finanziare con debito comune, sarà un dossier che quasi certamente finirà sul tavolo della prossima Commissione europea, quella che verrà plasmata dalle urne del prossimo 8 e 9 giugno. Eppure, la politica si è già messa in movimento, cominciando a stringere il cerchio intorno a Bruxelles. C’è per esempio Mario Draghi, che in queste settimane sta limando il suo rapporto sulla competitività dell’Unione, prima di sottoporla all’attenzione del futuro governo comunitario e dei mercati, che come sempre hanno quasi l’ultima parola.

L’ex premier italiano ed ex governatore della Bce, che in molti sognano successore di Ursula von der Leyen, teorizza infatti da tempo l’esigenza di un riarmo intelligente dell’Europa, unitamente a un rafforzamento degli approvvigionamenti energetici, così da non farsi trovare impreparati dinnanzi a nuovi, possibili, shock, pandemie o conflitti che siano. Tutto questo andrebbe finanziato con l’emissione di bond comunitari, ripetendo l’esperienza, di successo, del Recovery Plan.

Poi c’è Enrico Letta, con un rapporto di 150 pagine, già esaminato dal Consiglio europeo della scorsa settimana. L’ex leader del Pd parte dal concetto di mercato unico, del risparmio, dei trasporti, dei capitali. E nell’elencare le riforme necessarie ha fatto un esempio chiarissimo: che libertà di movimento c’è in Europa se non esiste un treno ad alta velocità che colleghi tutte le capitali? Oltre a parlare della necessità di attuare nell’Ue un Inflation reduction act (Ira) come sul modello di quello varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden. Ma il punto di caduta sono sempre gli eurobond.

Non è un’idea isolata, da tempo diversi governi chiedono di proseguire sulla strada intrapresa con il Recovery fund, ossia dare a Bruxelles il compito di accaparrarsi risorse sui mercati dei capitali con l’emissione di eurobond e redistribuire tali soldi agli Stati, in particolare a quelli che fanno più fatica a investire perché impegnati a sistemare i conti e a rispettare il Patto di stabilità, che proprio poche ore fa è stato definitivamente approvato dall’europarlamento.

Il coro di chi sostiene la necessità di fare debito comune, sia per la Difesa, sia per l’energia, è però ricco e variopinto. E annovera anche una voce molto ascoltata in Europa, visti i suoi trascorsi al vertice della Bce, in veste di membro del comitato esecutivo dell’Eurotower: Fabio Panetta, oggi governatore di Bankitalia, che tra poco più di un mese terrà le sue prima Considerazioni finali. Panetta, nel corso di una lectio magistralis all’Università di Roma Tre (presenti lo stesso Draghi e il predecessore di Panetta, Ignazio Visco), ha ribadito l’assoluta necessità, condita da una buona dose di urgenza, di aprire una nuova stagione di debito comunitario per raccogliere dai mercati 800 miliardi di euro all’anno, per finanziare la transizione climatica e digitale e per portare la spesa militare al 2% del pil.

“L’Europa deve agire unita e rafforzarsi per contrastare i rischi geopolitici e la frammentazione commerciale e finanziaria in corso. E per questo occorre utilizzare il bilancio comunitario per investire in settori strategici come la sicurezza energetica, la difesa e la transizione digitale, anche con l’emissione di bond comuni”, ha messo in chiaro il numero uno di Via Nazionale. “Il ricorso al bilancio della Ue per finanziare investimenti in beni pubblici comuni determinerebbe forti vantaggi per la stessa governance europea. Investimenti finanziati con emissioni obbligazionarie comuni permetterebbero di creare un titolo europeo privo di rischio”.

E che gli eurobond siano il primo mattoncino di una vera unione finanziaria, Panetta ne è più che certo. “La soluzione è rafforzare l’economia europea. Riequilibrando il suo modello di crescita e valorizzando il mercato unico. Rendendola più competitiva. Ponendola all’avanguardia in campo tecnologico ed energetico. Mettendola in grado di difendere la propria sicurezza esterna”. E, attenzione, guai a pensare che gli aiuti di Stato possano sostituirsi al debito comune. Pur sollecitando progressi nelle tecnologie per la produzione e l’utilizzo di fonti di energia pulita, Panetta ha infatti criticato il piano industriale del Green new deal, che prevede interventi che non sono finanziati con nuove risorse europee, ma che allentano le norme sugli aiuti di Stato.

“Questo meccanismo avvantaggia i Paesi più forti dal punto di vista fiscale e rischia di segmentare il mercato unico, avviando una competizione deteriore al ribasso in cui ciascuno Stato membro mira a offrire incentivi superiori a quelli degli altri. Il risultato sarebbe una scarsa efficacia degli interventi e un minore guadagno di competitività per il sistema produttivo europeo nel suo complesso”. Domanda, a che livello di integrazione finanziaria è disposta ad arrivare l’Europa? Qui il discorso cade inevitabilmente sui Paesi cosiddetti frugali. La Germania, si sa, mal sopporta la condivisione dei debiti, soprattutto con i Paesi mediterranei, come l’Italia. E con essa anche gli Stati del Nord Europa, cominciando dall’Olanda. Questo è forse il vero ostacolo agli eurobond. Ma tutto questo non toglie che quelli di Draghi, Letta e Panetta sono autentici assist verso una Difesa comune finanziata con debito comunitario.

Sugli eurobond e la Difesa comune c'è l'assist di Bankitalia. E non è l'unico

Nella sua lectio magistralis a Roma Tre, il governatore ha rilanciato la necessità di ricorrere a nuove emissioni comunitarie per finanziare crescita, transizione e competitività. Idee decisamente in sintonia con quelle di Mario Draghi e di Enrico Letta, che allargano il coro delle voci favorevoli a un salto di qualità finanziario nel Vecchio continente. Ma c’è l’ostacolo dei Paesi frugali

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