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L’idrogeno green è il futuro, o quanto meno parte di esso, su questo ci sono pochi dubbi. La transizione energetica planetaria è in ritardo, l’eliminazione dalla faccia della Terra dei fossili è tutt’altro che scontata. Eppure la strada è segnata, basta solo percorrerla. C’è un report dell’Ocse, pubblicato pochi giorni fa ma rimasto ancora sotto traccia che prova a dare una buona ragione per spingere l’acceleratore sull’energia blu, che anche in Italia sta un poco alla volta trovando il suo spazio vitale.

“Si suggerisce un piano d’azione in quattro punti per accelerare la diffusione dell’idrogeno pulito nei mercati emergenti, ma non solo, anche nei Paesi meno sviluppati. Il piano è incentrato su una serie di progetti che possano essere da guida per l’idrogeno rinnovabile e pensati per aumentare la fiducia degli investitori”, è la premessa del report. “Data la sua urgenza, l’impegno verso l’idrogeno dovrebbe iniziare con progetti promettenti, attualmente in cantiere a livello mondiale, ma tenendo conto di aspetti”. Per esempio, il fatto che “l’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo e si trova naturalmente sulla terra in forma di composti con altri elementi
con altri elementi in forma liquida, gassosa o solida”, scrive l’Ocse. Tradotto, di idrogeno se ne può ricavare quanto se ne vuole in natura.

Sì, ma i costi? Qui l’Ocse puntualizza. “Le informazioni attualmente disponibili sui costi e i prezzi dell’idrogeno pulito sono insufficienti per
per orientare le decisioni politiche e di investimento dei governi. Dovrebbero essere disponibili informazioni più trasparenti sui prezzi. Per l’idrogeno rinnovabile (idrogeno prodotto da energia rinnovabile come quella eolica e solare), il costo di produzione più basso oggi è di 3 dollari/kg per i progetti migliori della categoria”, chiarisce l’Organizzazione di Parigi.

“Il costo può salire a più di 10 dollari/kg, cifre ben superiori a quelli dell’idrogeno convenzionale, quello cioè generato da energia da combustibili fossili senza cattura del carbonio e dell’idrogeno blu generato da energia da combustibili fossili con cattura del carbonio. Il sostegno finanziario esterno necessario per colmare il divario di redditività economica dell’idrogeno pulito è stimato tra i 10 e i 40 miliardi di dollari all’anno da qui al 2030. Questo importo è noto come gap di finanziamento, cioè il divario tra il valore del prodotto e il costo di produzione. Un gap che deriva dalle incertezze e dalle sfide che circondano lo sviluppo dell’industria dell’idrogeno”. Insomma, c’è da investire se si vuole seguire la strada della transizione, in chiave idrogeno.

L’Italia, da parte sua, si sta muovendo, come dimostra il caso di Snam che, insieme a De Nora, azienda nata a Milano esattamente cento anni fa e specializzata nello sviluppo di prodotti per l’elettrochimica, ha appena messo in campo un investimento da 100 milioni (due terzi dei quali finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza in due tranche) per la realizzazione di un impianto che produrrà elettrolizzatori per la generazione di idrogeno verde, sistemi e componenti per l’elettrolisi dell’acqua e celle a combustibile, oltre alla progettazione di facilities a servizio delle altre divisioni del gruppo.

L’impianto dovrebbe entrare in funzione nel 2026 e sarà completamente a impatto zero come da prerequisiti Pnrr anche se, in realtà, il progetto aveva già ricevuto il via libera dal ministero dello Sviluppo economico, il quale aveva annoverato De Nora nella lista delle imprese che partecipano alla realizzazione di Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (Ipcei).

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