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Gigi Petteni, segretario confederale Cisl con delega sul mercato del lavoro, dice la sua sulla riduzione dei contratti di lavoro prevista dal Jobs Act che prenderà corpo a breve. In questa intervista esorta tutti a distinguere tra falsi collaboratori e lavoro autonomo autentico: “bene la lotta senza remore agli abusi ma attenzione a soluzioni pasticciate”. E’ arrivato il tempo, secondo Petteni, di guardare alle autentiche espressioni autonome del nuovo mondo del lavoro con maggiore consapevolezza. Ecco il suo pensiero.

Il 20 febbraio è il turno in Consiglio dei Ministri del decreto delegato sulla semplificazione contrattuale, uno dei capitoli fondamentali del Jobs Act. L’obiettivo dichiarato è quello di combattere la precarietà eliminando o ridimensionando al massimo i contratti a progetto e quelli di collaborazione in generale, frutto, in diversi casi di abusi. Che ne pensi?

Parto da una premessa che considero centrale se vogliamo intenderci. La riflessione e il confronto intorno alla questione del superamento di alcune forme contrattuali cosiddette atipiche, non può prescindere da una più ampia riflessione sui profondi cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro in questi anni. Oggi, siamo di fronte un’antropologia del lavoro mutata in cui le componenti del lavoro autonomo e dei freelance rappresentano un dato strutturale e in crescita. Il lavoro non è più solo dipendente e non risponde più ad esigenze e logiche tipiche di un passato monolitico. Se questo è il contesto di riferimento, non possiamo pensare di intervenire sul lavoro in generale e sulle forme contrattuali che regolano i rapporti di lavoro autonomo con il “macete”! La giusta lotta agli abusi compiuti con i contratti di collaborazione non può far dimenticare che ci sono centinaia di migliaia di professionisti che lavorano legittimamente con questo contratto la cui cancellazione creerebbe serie difficoltà di tipo economico. Considero giusto e auspicabile un intervento di pulizia sui tanti contratti esistenti, ma attenzione alle conseguenze sul vero lavoro autonomo.

Con l’addio ai co.co.pro, come fai notare, si corre il rischio di buttare con l’acqua sporca anche il bambino. In altre parole, con un provvedimento di cancellazione dei contratti a progetto si costringe questi professionisti ad aprire la Partita Iva, meno vantaggiosa dei contratti di collaborazione per molte attività autonome. Siamo di fronte un provvedimento ideologico che evidenzia un pregiudizio contro il lavoro autonomo?

Non nascondo che in alcuni permane ancora un pregiudizio nei confronti delle nuove espressioni del mondo del lavoro frutto, a mio avviso, di scarsa conoscenza e comprensione dei cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. Non a caso ho fatto quella premessa ad inizio intervista. Bisogna partire da una riflessione a monte sulla nuova antropologia del lavoro. Se si comprende fino in fondo che il lavoro è cambiato né consegue che i provvedimenti presi a valle non saranno in contrasto con le reali esigenze e aspettative di tutti i lavoratori nelle loro diverse espressioni. Tema centrale, com’è evidente, anche per il futuro della rappresentanza sindacale. Oltre il pregiudizio, poi, ci sono anche deleterie logiche di propaganda che sottendono certe scelte.

In diversi ambiti produttivi, soprattutto del terziario, l’applicazione del contratto a progetto è garantita dalla contrattazione collettiva tra imprese e sindacati. Nel settore delle ricerche di mercato e dei call center, per specifiche figure professionali e mansioni, si applica il contratto a progetto all’interno di un contratto nazionale tutelante e innovativo firmati da Cgil, Cisl e Uil. Parliamo di 23mila addetti nei Call center e 20mila addetti nelle ricerche di mercato. Di queste pratiche che ne facciamo?

Gli esempi che hai citato dimostrano come la tutela del lavoro autonomo e delle nuove espressioni del lavoro possa essere garantita in modo efficace attraverso la contrattazione collettiva tra le parti sociali che nei casi ricordati ha previsto per i contratti a progetto (autentici) diversi elementi di tutela grazie anche alla bilateralità di settore. Si tratta di pratiche positive da incentivare e rilanciare che non possono essere mortificate dalla mancanza di conoscenza della realtà. In questi casi, poi, come in molti altri, la cancellazione del contratto a progetto non trasformerebbe automaticamente questi lavoratori autonomi o parasubordinati in lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, ma segnerebbe un’inevitabile migrazione verso altre forme contrattuali tipiche del lavoro autonomo molto meno vantaggiose.

Inoltre, ci sono diversi ambiti in cui le diverse forme contrattuali oggi esistenti hanno un senso e sono applicate: si pensi al lavoro ripartito (job sharing) in agricoltura, al lavoro a chiamata (Job on call) nel commercio e nella ristorazione, alle associazioni in partecipazione negli studi professionali. La logica, anche in questi casi, è sempre la stessa: ci sono ambiti in cui l’applicazione di questi contratti è legittima e ambiti di abuso. E’ sensato combattere gli abusi eliminando per tutti questi contratti, anche per coloro, seppur pochi, che li applicano legittimamente?

In questi casi sono favorevole al superamento di queste forme contrattuali. Parliamo di ambiti di applicazione autentica molto marginali rispetto all’ampio contesto produttivo nazionale che non ne giustificano la ragion d’essere. La loro cancellazione dal nostro ordinamento è auspicabile e condivisibile per evitare che si realizzino i tanti abusi registrati in questi anni e quelle poche realtà in cui vengono applicati questi contratti in modo non fraudolento saranno ricondotte verso forme contrattuali più appropriate.

Il lavoro autonomo in questi anni è stato trattato spesso dal legislatore come “figlio di un dio minore”. Eppure rappresenta una fetta consistente del mondo del lavoro, soprattutto nell’ambito delle nuove professioni. I provvedimenti del Governo Renzi non sono da meno: vedi l’aumento dell’aliquota previdenziale al 30% e la riduzione dei vantaggi per il regime dei minimi con l’aumento dell’aliquota fiscale dal 5 al 15%. Renzi si è detto pentito da questi provvedimenti, come altri suoi predecessori in passato, e probabilmente ci saranno cambiamenti. Da che parte stai?

Dalla parte dei lavoratori, compresi quelli autonomi. Le ragioni dei professionisti con partita Iva devono essere accolte. I provvedimenti che hai citato indubbiamente rappresentano un inasprimento delle condizioni delle partite Iva al quale è necessario porre rimedio. Credo che ci siano gli spazi per fare passi indietro. Per ciò che riguarda l’aumento dell’aliquota contributiva, poi, penso si possa trovare una mediazione equiparando le condizioni delle partite Iva a quelle dei collaboratori, ossia facendo pagare i 2/3 del contributo previdenziale all’azienda cliente. Si tratterebbe di una mediazione in grado di garantire un futuro pensionistico migliore ai lavoratori autonomi senza pesare sui costi contingenti. Vanno trovate soluzioni adeguate con l’obiettivo fondamentale di valorizzare e non mortificare il mondo del lavoro autonomo e delle nuove professioni freelance.

Il decreto attuativo di riordino degli ammortizzatori sociali ha esteso le tutele anche ai contratti a progetto e di collaborazione, finché saranno presenti nel nostro ordinamento. Il tema più generale è la costruzione di un welfare universale in grado di tutelare tutto il mondo del lavoro, dipendente e autonomo. E’ arrivato il momento anche per il sindacato di contrattare un sistema di protezione per le Partite Iva e i collaboratori a progetto nei contratti nazionali e in quelli decentrati, magari valorizzando le pratiche positive già avviate in questo senso?

Sono convinto che le nuove regole del welfare e i sistemi di tutela dei lavoratori debbano essere pensati in considerazione della nuova composizione del mercato del lavoro in cui il peso del lavoro autonomo ha superato la soglia dei 5 milioni di persone. E’ impensabile riformare il sistema di protezione sociale senza tener conto di questo dato di fondo. Bisogna proseguire nella strada indicata nel provvedimento di estensione anche ai contratti a progetto di forme di indennità di disoccupazione e di sostegno al reddito. Allungando lo sguardo, inoltre, dobbiamo immaginare un sistema di welfare per il lavoro autonomo che assieme ad un intervento di tipo pubblico preveda anche una soluzione di tipo mutualistico, in cui questi professionisti e lavoratori si uniscano sulla base di un comune bisogno.

Si parla in questi giorni di un’ennesima modifica dei contratti a termine. Le prime indiscrezioni indicano una riduzione del periodo massimo di applicabilità da 36 a 24 mesi e la diminuzione delle proroghe da 5 a 3, dopo averle aumentate qualche mese fa con il decreto Poletti. Quale il senso di un’ ennesima modifica?

Con l’introduzione del contratto a tutele crescenti che prevede maggiori flessibilità in uscita è inevitabile che si rifletta anche sul ruolo del contratto a termine e si cerchi un nuovo equilibrio tra i due istituti. La riduzione dell’arco temporale di applicazione del contratto a termine e delle relative proroghe nel nuovo scenario prefigurato dal contratto a tutele crescenti ha senso. Inoltre, questa misura, unita agli incentivi fiscali e contributivi triennali previsti dalla Legge di Stabilità 2015, è finalizzata ad incentivare il massimo ricorso al nuovo contratto a tempo indeterminato. Lo scopo è invertire la tendenza negativa nelle nuove assunzioni che nella maggior parte dei casi avvengono con contratti a scadenza.

La cancellazione del contratto a progetto penalizza i veri autonomi. Parla Gigi Petteni (Cisl)

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