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Di Giuliano Amato Gennaro Acquaviva, suo compagno di partito, diede la seguente definizione: ‘’Giuliano ha un grave difetto: crede di essere il più bravo di tutti. Ma ha pure un grande pregio: è il più bravo di tutti’’.  roprio così. Se a fine mese i ‘’grandi elettori’’ fossero chiamati ad eleggere presidente della Repubblica il migliore dei ‘’papabili’’ – e potessero farlo con piena onestà intellettuale – Amato sarebbe eletto alla prima votazione. Perché nessuno può vantare esperienze, intelligenza, doti culturali, conoscenza delle istituzioni paragonabili alle sue.

Ma non basta, il Dottor Sottile ha reso tali servigi alla Patria che solo Mario Monti potrebbe, in parte, condividere con lui. Entrambi, infatti, in epoche diverse, hanno presieduto governi di salvezza nazionale, riuscendo ad impedire che il Paese andasse a gambe all’aria. In qualche modo, gli incontri prima con Amato, poi con Monti – ad anni di distanza – hanno influenzato la mia carriera sindacale e politica. A me succede di innamorarmi dei governi che innalzano la bandiera  del rigore, anche a costo di essere accusati di fare <macelleria sociale>.

Non a caso, la mia posizione in Cgil si logorò definitivamente ai tempi del primo governo presieduto da Giuliano Amato nell’ormai lontano 1992. Non era sostenibile, infatti, che un segretario confederale lodasse l’azione di un governo contro il quale la sua organizzazione proclamava degli scioperi, accusandolo di smantellare lo Stato sociale (welfare state, quanti delitti in tuo nome).

Uscito dalla Cgil (lì avevo conosciuto Giuliano Amato quando era presidente dell’Ires a metà degli anni ’70) non avrei mai pensato di abbracciare la causa del Cavaliere se non fosse intervenuta, nel 1994, una riforma delle pensioni ad opera del primo esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi che colpiva a morte i trattamenti di anzianità, che a mio avviso rappresentavano il mal sottile del nostro sistema previdenziale pubblico. L’aver difeso il Cavaliere mi procurò l’ostracismo del mio “piccolo mondo antico” e l’attenzione del centro destra.

Iniziò così un rapporto con le iniziative dei socialisti che si erano ritrovati in Forza Italia (Renato Brunetta, Maurizio Sacconi, Fabrizio Cicchitto e Stefania Craxi), fino a quando l’uccisione di Marco Biagi (di cui ero amico fraterno) cementò ancora di più il nostro sodalizio e ci consegnò una missione da compiere: difendere la sua memoria e consolidare la sua opera. Questo obiettivo sembrò a portata di mano nel 2008. Maurizio Sacconi e Renato Brunetta divennero ministri del governo Berlusconi, reduce da una sfavillante vittoria; io, eletto alla Camera, divenni il punto di riferimento di quella maggioranza in materia di lavoro e pensioni. Fino a quando, dopo la caduta dell’esecutivo di centro destra, non esitai a condividere le politiche del ‘’governo dei tecnici’’ nei più delicati passaggi parlamentari.

Ma la passione per gli esecutivi rigorosi era di nuovo in agguato. Quando il Pdl, il 6 e 7 dicembre del 2012, decise di non votare più la fiducia alla compagine presieduta da Monti, io continuai a farlo. Anche se, negli ultimi mesi, quell’esecutivo aveva perso gran parte della  spinta propulsiva, a mio avviso, conservava un importante merito: quello di garantire (perché ne era il mandatario) un linea di condotta coerente con l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici in armonia con le indicazioni dell’Unione europea.

La scelta di allora mi portò a correre l’avventura di Scelta civica e a finire – hic manebimus optime – fuori dalla politica attiva nel giro di qualche mese. Tutto ciò premesso, credo che Giuliano Amato (a cui ho dedicato un libro dal titolo ‘’Il beneAmato, 1992-2000, grandezze e miserie di due governi a confronto, Sperling & Kupfer Editori, 2000)  abbia una marcia in più di Mario Monti. I servigi che ha reso al Paese sono stati senz’altro superiori. Non solo perché la sua è una personalità più completa e complessa, di sicuro prestigio internazionale.

Insigne giurista (ora componente della Consulta), sul suo manuale, scritto insieme ad Augusto Barbera, si sono formate intere generazioni di costituzionalisti. Più volte ministro e in due occasioni premier (anche se il suo secondo governo fu una copia sbiadita del  primo), da sottosegretario alla presidenza del Consiglio fu l’animatore dell’esecutivo presieduto da Bettino Craxi. Un impegno che gli è stato riconosciuto (‘’uomo di pregevole cultura e gran lavoratore’’)  dall’ex leader socialista nonostante che, negli ultimi anni di vita, lo accusasse di non essersi ‘’mai fatto vivo una sola volta anche quando risalivano verso l’Italia le voci inequivocabili’’ relative alle sue precarie condizioni di salute (si veda in proposito ‘’Il memoriale inedito di Bettino Craxi da Hammanet’’ a cura di Andrea Spiri, per i tipi di Mondadori).

L’elezione al Quirinale risarcirebbe Amato dei ‘’torti’’ subìti negli ultimi vent’anni, da quando nel 1992 raddrizzò le sorti dell’Italia con una manovra in due tempi da 120mila miliardi di lire, rompendo un tabù, fino ad allora dominante, secondo il quale, da noi, era impossibile promuovere significative riforme economico-sociali. Per tanto tempo, l’Amato del 1992 non ha potuto occupare il posto che gli spettava nella galleria degli statisti gloriosi. Sul suo governo pesava  la colpa di un risanamento finanziario condotto con l’accetta e senza guardare in faccia a nessuno (tra cui il prelievo notturno sui conti correnti).

Così, la nuova era delle virtù repubblicane prese avvio, nelle cronache ufficiali, con il governo Ciampi, anche se era stato il Dottor Sottile a spianare, in tutti i settori, la strada all’ex Governatore. Carlo Azeglio Ciampi è salito al Colle fatidico come premio per aver portato, insieme a Romano Prodi, l’Italia nel club della moneta unica. Ma senza la svolta del 1992 quel risultato sarebbe stato impossibile. La stessa sorte maligna ed ingrata capitò ad Amato nel 2001, quando, dopo aver guidato l’esecutivo di fine legislatura, la coalizione di centro sinistra (allora in profonda crisi) preferì candidare, contro Silvio Berlusconi, ‘o bello guaglione Francesco Rutelli. Fino ad arrivare al 2013. Giorgio Napolitano avrebbe certamente preferito affidare l’incarico ad Amato, ma fu indotto a scegliere l’abatino Enrico Letta, che  #andòtantosereno da non accorgersi che il ragazzaccio toscano gli sfilava la sedia da sotto ‘’i magnanimi lombi’’.

Verrà finalmente l’ora del Dottor Sottile? Me lo auguro non solo per i rapporti  (ora ‘’in sonno’’) che mi hanno legato, in tempi migliori degli attuali, ad una personalità eccezionale, ma soprattutto per i destini di questo povero Paese che non si merita di trovarsi al Quirinale una ‘’mezzacalzetta’’ come la persona che Renzi finirà per proporre e Berlusconi per accettare supinamente (dopo aver ammainato la bandiera gloriosa di Antonio Martino).

Perché Amato è da me un po' amato

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