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L’osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, monsignor Silvano Tomasi, ha posto il problema di dare il via libera a un’azione di forza contro “il cosiddetto Stato islamico”, in Siria e Iraq, che da mesi sta perseguitando le minoranze, tra cui i cristiani. “Dobbiamo fermare questo tipo di genocidio. Altrimenti piangeremo in futuro domandandoci perché non abbiamo fatto qualcosa, perché abbiamo permesso che accadesse una così terribile tragedia”, ha detto.

LA DOTTRINA DELLA GUERRA GIUSTA 

A giudizio del presule, che ha confermato tale posizione in un’intervista al portale statunitense Crux, ha ricordato che l’intervento militare internazionale in difesa delle minoranze minacciate è “una dottrina che è stata sviluppata sia alle Nazioni Unite sia nell’insegnamento sociale della chiesa cattolica”. I passi da fare consisterebbero innanzitutto nel mettere in piedi una coalizione che includa i Paesi musulmani del medio oriente, evitando quello che si può definire semplicemente come “un approccio occidentale”. Naturalmente, l’azione dovrebbe avvenire sotto l’egida delle Nazioni Unite.

“SCHIETTO AVALLO DELL’AZIONE MILITARE”

Il vaticanista John Allen, fondatore di Crux e associate editor del Boston Globe, ha definito le parole di Tomasi “un insolitamente schietto avallo dell’azione militare”. Insolito sia per la tradizionalmente prudente diplomazia vaticana, ma anche per la fortissima opposizione di Giovanni Paolo II alle due Guerre del Golfo condotte dagli Stati Uniti.

LE PAROLE DEL CARDINALE PAROLIN

In ambienti d’oltretevere si ricorda che la posizione non è nuova, visto che già il 29 settembre scorso, all’Assemblea generale dell’Onu a New York, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, aveva usato parole non troppo dissimili: “E’ sia lecito sia urgente arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e un uso proporzionato della forza. Come soggetto rappresentante una comunità religiosa mondiale che abbraccia diverse nazioni, culture ed etnicità, la Santa Sede spera seriamente che la comunità internazionale si assuma la responsabilità riflettendo sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi”.

INTERVENTO SOLO COME “EXTREMA RATIO”

Ancora, parlando a margine del ricevimento in ricordo dei Patti Lateranensi, a metà febbraio, Parolin ribadiva che è l’Onu a dover farsi carico della situazione e che in ogni caso “l’intervento militare deve essere l’extrema ratio”. Non si parlava di Iraq e Siria, bensì di Libia, comunque sconvolta dalle decapitazioni attuate dai fanatici islamisti che si rifanno al califfo Abu Bakr al Baghdadi.

FERMARE L’AGGRESSORE INGIUSTO

Fermare l’aggressore ingiusto era stata la definizione che aveva dato il Papa lo scorso agosto, durante la conferenza stampa aerea di ritorno dalla Corea del Sud. Francesco, parlando a braccio, aveva però aggiunto: “Non dico bombardare o fare la guerra. Dico: fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressione ingiusta è lecito. Ma dobbiamo avere memoria. Quante volte, sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una guerra di conquista?”.

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