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L’estate 2014 verrà ricordata come una delle più anomale in termini meteorologici: pioggia e temperature di molto inferiori alla media hanno ridotto l’afflusso turistico in molte località di villeggiatura del nostro paese, specialmente nel nord e nel centro. Danni economici ingenti sono stati accusati da tutte le principali categorie di operatori turistici.

Un “tono di colore” ad un’estate decisamente grigia e umida è stato aggiunto poi dalla protesta mossa degli albergatori della riviera romagnola contro i siti di previsione meteorologica. Questi ultimi venivano ritenuti “colpevoli” di diffondere bollettini meteo negativi con troppo anticipo, dunque non sempre affidabili, ma pur sempre in grado di scoraggiare i turisti in partenza. Fare causa ai meteorologi non è però la risposta più efficace che l’industria turistica nostrana possa adottare. Per questo settore il rischio meteorologico si configura a pieno titolo come un rischio caratteristico, meritevole di un riconoscimento esplicito e di una gestione adeguata.

Dal punto di vista economico-finanziario il weather risk può essere definito in termini di incertezza dei flussi di cassa e dei risultati reddituali causati dalle variazioni meteorologiche inattese. Tipicamente tale rischio ha conseguenze economiche limitate su base giornaliera (es. una giornata di pioggia ad agosto non inciderà più di tanto sul fatturato di uno stabilimento balneare) ma le stesse possono ampliarsi enormemente se le avverse condizioni meteorologiche dovessero ripetersi o accumularsi nel tempo (es. una settimana di pioggia continuata ridurrà pesantemente la presenza dei turisti in spiaggia, con forte impatto sul fatturato dello stabilimento balneare). È proprio in questo secondo caso che un weather derivative potrebbe salvare il fatturato della stagione.

Un primo semplice esempio di derivato climatico potrebbe essere quello di uno swap sulle temperature medie, in cui l’impresa turistica riceve un flusso di cassa per ogni decimo di grado inferiore ad un livello di temperatura convenuto (es. 28°C), impegnandosi però al contempo al pagamento di una somma di denaro alla banca per ogni decimo di grado al di sopra dell’indice fissato. Ciò consentirebbe all’impresa turistica di limitare le perdite in caso di periodi di prolungato maltempo, spesando il costo di tale protezione sui maggiori introiti derivanti da un periodo meteorologico particolarmente favorevole.

In alternativa, volendo fin da subito conoscere il costo della protezione, l’impresa turistica potrebbe pagare un premio ed acquistare un’opzione put che le conferisce il diritto di ricevere dalla banca una somma di denaro in corrispondenza di valori di temperatura uguali o inferiori al livello strike pattuito.

Dal punto di vista operativo, il mercato più attivo per i derivati climatici è quello statunitense, nel quale i primi contratti sono stati sviluppati in ambito energetico, per poi essere estesi anche ad altri ambiti come quello agricolo e turistico. In tale settore le principali esperienze in essere riguardano resort, prevalentemente sciistici (Usa, Canada e Austria).

In Italia al momento non risultano attive applicazioni concrete dei derivati climatici in ambito turistico, a causa sia della mancata conoscenza di tali prodotti che della limitata offerta da parte degli intermediari finanziari. I weather derivative potrebbero quindi rappresentare un utile strumento per favorire una gestione più manageriale dei rischi del settore turistico e un’opportunità di sviluppo dei servizi di risk management per il settore finanziario.

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Ci salveranno i derivati climatici?

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