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“Siamo di fronte a una situazione sempre più difficile nella quale il popolo palestinese viene compresso senza tener conto delle drammatiche difficoltà e dei diritti di uomini, donne e bambini innocenti che nulla hanno a che fare con Hamas. Questa cosa non è più giustificabile”. Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha commentato a SkyTg24 l’ultimo di vari attacchi israeliani che nel caso specifico a Rafah, ma in passato anche altrove nella Striscia di Gaza, ha prodotto vittime civili.

Nel caso, domenica sera Israele ha bombardato Rafah, l’ultima città nella Striscia di Gaza non ancora invasa, causando un incendio in un accampamento di sfollati palestinesi e la morte di almeno 35 persone. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito un complesso utilizzato da Hamas, uccidendo due leader dell’organizzazione (figure poco note al pubblico mainstream, Yassin Rabia e Khaled Nagar). Riguardo all’incendio e alle vittime civili, gli israeliani dicono di esserne al corrente e che l’evento sarà indagato, specificando che l’attacco è stato effettuato con “armi di precisione”.

L’accampamento si trovava in un’area designata come “zona umanitaria” dall’esercito israeliano. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che Hamas aveva lanciato razzi verso Tel Aviv, causando danni minori e nessun ferito, nel ritorno dei raid contro la seconda città israeliana del gruppo palestinese — che con il mostruoso attentato del 7 ottobre ha aperto la stagione di guerra.

L’assalto israeliano a Rafah è osteggiato dalla quasi totalità della Comunità internazionale, a maggior ragione dopo che la Corte di giustizia internazionale (Icj) ha emesso una sentenza per chiedere a Israele di fermarsi. “[Sono] indignato per gli attacchi israeliani che hanno ucciso molti sfollati a Rafah. Queste operazioni devono cessare. Non ci sono aree sicure a Rafah per i civili palestinesi”, ha commentato il presidente francese, Emmanuel Macron.

Ed è questo il centro della situazione: da settimane, o mesi, si cerca di evitare l’operazione di terra — contro quelle che Israele identifica come le forze di riserva che Hamas ha nascosto nella città del sud. Questo perché indipendentemente dalla presenza di quei miliziani palestinesi ci sono anche migliaia e migliaia di civili che sono fuggiti verso Rafah per scappare dai combattimenti nelle zone più a nord. Hamas può usarli come scudi, gli errori di valutazione possono capitare (nonostante le “armi di precisione”), le operazioni militari complicano l’arrivo degli aiuti in una situazione già devastata.

“Noi siamo contrari all’attacco a Rafah. Certamente la decisione di Hamas di lanciare missili da Rafah contro Israele è un modo per cercare di accelerare i tempi di un attacco. Evidentemente Hamas sta usando Rafah per creare ulteriori problemi, cioè cerca di attirare Israele in una sorta di trappola mediatica. Ma a pagare il prezzo di tutto ciò sarà il popolo palestinese. A dimostrazione, ancora una volta, che Hamas non sta dalla parte del popolo palestinese, ma usa il popolo palestinese come strumento per i suoi disegni politici che noi non condividiamo”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al suo arrivo al Consiglio Esteri.

L’Unione europea supporta la decisione della Icj per chiedere la sospensione delle operazioni su vasta scala. Questo non significa fermare Israele tout court — sebbene il cessate il fuoco sia uno dei presupposti di svariate discussioni. Gli Stati Uniti hanno per esempio proposto a Israele supporto per operazioni mirate contro i leader di Hamas. Azioni che dovrebbero garantire di continuare a combattere l’organizzazione terroristiche, ma evitare vittime civili — o il “disastro umanitario senza precedenti vissuto dal popolo palestinese”, per dirla come Riad ha definito la situazione commentando quanto successo al campo profughi di Rafah.

C’è poi un livello successivo delle criticità legate all’attacco nella città del sud della Striscia, e riguarda gli equilibri regionali, per primo con l’Egitto. I Paesi della regione sono preoccupati perché le operazioni militari ai margini del confine israelo-egiziano potrebbero produrre scombussolamenti nel sottile equilibrio che regola Il Cairo. Si potrebbero produrre effetti migratori e soprattutto l’opinione pubblica egiziana è sollecitata da quanto accade, con il governo che non può non sostenere la causa palestinese, ma nemmeno essere eccessivamente duro con Israele (con cui ha relazioni strategiche da tempo).

Effetti del caos: almeno un soldato egiziano (ma forse ben di più) potrebbe essere rimasto ucciso da uno scontro a fuoco avvenuto al confine. Non sono ancora chiare le circostanze, ma a sparare potrebbero essere state le Forze armate israeliane (Idf).

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