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Il governo di Narendra Modi chiude l’anno solare 2023 con un passaggio storico, importante per la sicurezza nazionale e l’unità indiana. Un accordo di pace firmato tra il governo centrale, l’esecutivo dell’Assam e la fazione pro-dialogo dello United Liberation Front of Asom (Ulfa).

L’Ulfa, fondato nel 1979, è uno dei gruppi separatisti attivi in India. Si muove nel nord-est del Paese, dove rivendica l’indipendenza dello stato dell’Assam dal resto del Subcontinente, un obiettivo che ha generato decenni di violenze e tensioni tra autorità centrali e movimentisti armati. La regione, ricca di risorse naturali e culturalmente diversificata, è stata teatro di scontri.

Per lungo tempo, l’Ulfa è stato un serio problema di sicurezza nazionale per l’India, perché impegnato in attività terroristiche, estorsioni e sequestri. La situazione ha contribuito a creare una tensione costante, con ripercussioni significative sulla stabilità della regione – e indirettamente del Paese, marcandone una linea di faglia interna.

L’accordo di pace recentemente siglato è un punto di svolta, con una fazione pragmatica dell’Ulfa che ha formalmente rinunciato alla lotta armata, accettando di integrarsi nella società mainstream. La presenza del ministro dell’Interno, Amit Shah, e del capo del governo locale dell’Assam, Himanta Biswa Sarma, sottolinea l’impegno del governo centrale (e la sua importanza) nel risolvere questa questione delicata.

La decisione di abbandonare la lotta armata e partecipare al processo politico e sociale è fondamentale, sebbene il successo dell’accordo – trattato da 12 anni – dipenderà dalla sua attuazione e dalla capacità delle autorità di affrontare le questioni socioeconomiche e culturali che hanno alimentato le aspirazioni separatiste iniziali dell’Ulfa. Nonché di controllare e gestire eventuali spurie che non accettano l’abbandono delle armi.

Non fa infatti ancora parte dell’intesa per la pace la fazione hard-line dell’Ulfa, guidata da Paresh Baruah, nota come Ulfa-I (dove la “I” sta per indipendente). Baruah vive tra Cina e Myanmar (probabilmente protetto nello Yunnan, estesa provincia di confine indo-cinese) e da tempo ci sono sospetti che riceva finanziamenti dall’intelligence cinese. Pechino, che da almeno tre anni ha reso esplicito la fase di contrasto con New Delhi, potrebbe aver interesse a supportare le istanze separatiste per caoticizzare la situazione interna indiana. L’ultima sospetta connessione risale al 2020.

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