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Ben pochi anni del nuovo millennio sono risultati così ricchi di sorprese ed eventi dalle grandi implicazioni come quello appena trascorso e ben poche sono oggi le certezze sull’evoluzione del nuovo anno alle porte. Che il 2023 sarebbe trascorso con più difficoltà del rimbalzo economico del 2022 era nelle previsioni iniziali a causa del perdurare della guerra in Ucraina e le sue conseguenze, per l’uscita dalla lunga fase di accomodamento monetario e per la segmentazione del commercio mondiale in aree regionali separate da nuove barriere doganali e altre restrizioni. L’economia dell’area Ocse avrebbe sofferto un rallentamento e perfino una recessione sotto i colpi di un irrigidimento della stretta del credito indotta dalle banche centrali per contrastare l’alta inflazione, e per effetto dello shock dei mercati energetici a seguito delle sanzioni alla Russia revanscista.

In un panorama che si presentava a tinte più fosche del 2022 si è assistito, invece, a diverse sorprese in entrambi i sensi, positive e negative, con una leggera prevalenza delle prime sulle seconde. Dal lato favorevole campeggia l’assenza della tanto temuta recessione dell’economia mondiale e di quelle americana ed europea. Questo risultato lo si deve alla cautela con cui i governi e le banche centrali hanno utilizzato le loro leve d’intervento. L’economia mondiale e il commercio tra paesi secondo le ultime proiezioni sono cresciuti, rispettivamente del 2,6% e dello 0,8%, e l’inflazione è stata riportata vicino ai ritmi obiettivo, benché non possa ancora dirsi domata.

Contrariamente alle attese di una recessione, l’economia americana ha fatto da guida continuando ad espandersi a tassi oltre il 2% nonostante il forte rincaro del credito, indotto dai tassi sui “Fondi Federali” portati in pochi mesi al 5,25-5,5%. L’economia ha beneficiato della resilienza della spesa dei consumatori, che hanno dato fondo ai loro risparmi, e del grande programma di opere pubbliche e incentivi alla ricerca ed innovazione (oltre 400 miliardi di dollari), varato dal governo con una massiccia spesa in deficit e facilitazioni creditizie. L’impulso agli investimenti privati si è tradotto in realtà in breve tempo, allontanando di trimestre in trimestre l’attesa della recessione e rafforzando la prospettiva di un “atterraggio morbido” dalla manovra di disinflazione.

La Cina e l’Europa si sono mosse su traiettorie economiche differenti da quella americana ed inaspettate. La prima ha avuto un andamento congiunturale contrassegnato dalla debolezza della spesa dei consumatori, delle esportazioni e degli investimenti dall’estero, nonché dall’impatto della crisi dell’edilizia con notevoli insolvenze di grandi imprese. L’invadenza crescente del soggetto pubblico nella gestione delle grandi compagnie private sembra, inoltre, aver tarpato l’iniziativa imprenditoriale e la concorrenza con ripercussioni su innovazione ed investimenti. Malgrado tutto, con l’uscita dal lockdown per la pandemia, la crescita è risalita attorno al 5% dal 3% del 2022, con un’inflazione sotto l’1% e il rischio di deflazione.

L’Eurozona ha fatto peggio, accusando una sorprendente caduta della crescita allo 0,7% dal 3,4% dell’anno precedente, caduta dovuta principalmente alla recessione, benché lieve, in Germania. Il graduale rincaro del denaro pilotato dalla Bce, ma meno teso di quello della Fed, e l’uscita dal sostegno monetario hanno esercitato un effetto frenante che ha contrastato lo stimolo offerto dall’attuazione del Pnrr (Next Generation EU) e da bilanci pubblici ancora in disavanzo. Al tempo stesso, la discesa dell’inflazione è apparsa meno rapida del previsto e fortemente condizionata dalle fluttuazioni dei prezzi petroliferi e degli alimentari non lavorati. Si è ripresentato, pertanto, il modello di crescita dell’area, che è molto reattiva alle tensioni nei mercati mondiali e nelle correnti di scambi commerciali, e relativamente lenta nel riprendersi e nello spegnere le spinte sui prezzi.

Sorprendente, altresì, che si sia superato in poco tempo il peggio della crisi negli approvvigionamenti energetici con una grande capacità di interrompere rapporti di fornitura consolidati negli anni per sostituirli con nuovi in pochi trimestri. Lo stesso può dirsi delle catene internazionali del valore, che le imprese hanno saputo riconfigurare in poco tempo, mostrando un’adattabilità insperata al mutare delle condizioni esterne. Questa qualità, tuttavia, è di poco aiuto quando si deve fronteggiare la perdita del mercato dell’Est europeo e la debolezza della domanda proveniente dalla Cina, sviluppi che continuano a pesare particolarmente sull’andamento dell’economia tedesca. Non sorprende, invece, che le sanzioni alla Russia e ai suoi alleati non abbiano funzionato come sperato, in quanto si conferma l’osservazione che per avere effetto le sanzioni devono essere effettivamente applicate dalla maggioranza dei paesi. Così non è stato, con il risultato che la Russia ha mantenuto i suoi livelli di export di energia e materie prime, e continuato a importare indirettamente prodotti della tecnologia occidentale.

Una novità che accomuna le tre grandi aree dell’Ocse è l’ingrandirsi degli interventi di politica “industriale” insieme all’estendersi oltre la digitalizzazione e la transizione verde per rivolgersi anche all’industria della difesa e alle tecnologie per la sicurezza nazionale. Come negli anni passati, invece, i governi si sono mobilitati per facilitare la soluzione di gravi crisi di comparti produttivi e di grandi imprese.

Altra sorpresa dalle straordinarie implicazioni è data dall’esplosione delle applicazioni “generative” dell’Intelligenza Artificiale, nonché dall’entusiasmo e le preoccupazioni che hanno generato nella società e nei governi. Si è innescata una vera corsa a sfruttarle sia nel mondo produttivo, sia negli altri campi di attività umane ad una velocità e diffusione che non hanno precedenti nella storia contemporanea. Altrettanto rapida è stata la reazione allarmata dei governi ai possibili sconvolgimenti che potrebbe produrre nella sicurezza, nella tutela dei valori delle democrazie occidentali e nel mondo del lavoro. Le regole che si stanno introducendo hanno, peraltro, il sapore di misure affrettate e rischiose per lo sviluppo di tecnologie digitali che sono in pieno divenire e non del tutto decifrabili nel loro operare ed impattare. Si trascura che sono anche uno strumento chiave nella competizione tra paesi e privarsene o ritardarle potrebbe esporre a rischi maggiori di quelli di saperli gestire in modi appropriati.

Altrettanto sorprendente la notevole ripresa dei mercati azionari che con molta lungimiranza e un poco di euforia ingiustificata hanno recuperato le perdite accumulate nell’anno precedente e si sono avventurati su nuovi livelli. A sostenerli sono stati, in particolare, gli sviluppi delle tecnologie digitali, il potenziale delle nuove applicazioni, il rallentamento dell’inflazione e l’attesa della fine del rincaro del denaro da parte delle autorità monetarie. L’indice S&P500 è salito nell’anno del 26,6%, ancor più il Nasdaq, che si concentra nelle nuove tecnologie, in aumento del 48% circa, e il Dow Jones Industrial del 14,9%. In Europa, la migliore performance si è registrata nella borsa italiana con l’indice FTSE MIB in ascesa del 26%. Quest’ultimo risultato riflette il recupero di redditività delle banche, che hanno un peso determinante nell’indice, più che una ritrovata redditività delle società manifatturiere e dei servizi.

In negativo, invece, sorprende la pausa che si è prodotta nella lotta al cambiamento climatico. Mentre si moltiplicano le testimonianze degli effetti distruttivi che il fenomeno sta producendo in tutte le attività e nella vita quotidiana, si continua a espandere l’utilizzo del carbone e di altre materie inquinanti. In contemporanea, si investono miliardi in impianti e tecnologie per un’economia verde con risultati contraddittori. Ne sono un esempio, le conclusioni della conferenza Cop28 a Dubai, in cui i progressi sono stati modesti e gli impegni presi dagli Stati poco vincolanti.

Tra le sorprese negative non si può tralasciare lo scoppio della guerra in Medio Oriente e le gravi conseguenze a cui si va incontro con il perdurante massacro di civili inermi sotto lo sguardo apparentemente preoccupato ma di fatto indifferente delle grandi potenze. Questa fonte d’instabilità si aggiunge a quella preesistente, la guerra in Ucraina, che ha provocato distruzioni, lutti e sconvolgimenti nelle relazioni tra paesi, comprese quelle economiche.

Per l’Italia le sorprese in gran parte coincidono con quelle delle maggiori economie dell’Ocse. Nella crescita, nel superamento dello shock energetico, nel ripristino delle catene produttive con l’estero, nella stretta creditizia, nell’andamento del mercato finanziario e nel contenimento delle emissioni di gas nocivi si sono manifestate le medesime sorprese. In contrasto, non si può considerare una sorpresa che non si sia riusciti a mettere in campo diversi progetti finanziati dal Pnrr, né a far avanzare tutte le opere programmate, né a rispettare le scadenze di alcune riforme, come quella sulla concorrenza, perché era dato per scontato agli occhi dei più esperti sin dall’inizio. Il Paese è stretto da troppe rigidità, dall’eccesso di regole e legulei, da un welfare a sfavore del lavoro, da una finanza meno propensa al rischio, e da una burocrazia invasiva e ritardante. In qualche misura è, invece, sorprendente che le imprese, comprese le Pmi, siano riuscite a difendere meglio dei partner europei i livelli di esportazioni e a far progredire l’occupazione. Il tasso di occupazione ha raggiunto ad ottobre il livello più alto nel nuovo millennio (61,8%) in parallelo con il tasso di attività salito al 67,1%, pur in un contesto di forte rallentamento produttivo.

In breve, l’anno si chiude in Europa come negli Usa e in Cina con due nodi principali, il consistente rallentamento della crescita e la dilatazione dei disavanzi e del debito nei bilanci pubblici. Dopo le sorprese del 2023 si prospetta un nuovo anno ancor più incerto del precedente con un bilanciamento nelle probabilità di due scenari contrapposti, uno positivo e l’altro negativo.

Nel primo, si spegnerebbero gradualmente le tensioni inflazionistiche e il costo del credito si abbasserebbe sulle normali medie degli ultimi decenni, ovvero su livelli “neutrali”, coerenti con le prospettive di crescita della produzione e della produttività nel medio-lungo periodo. Queste sarebbero sostenute dalla diffusione delle nuove tecnologie e dai grandi programmi di investimenti pubblici e privati già avviati. In ogni caso si avrebbero profondi cambiamenti nei sistemi economici indotti dall’irrompere del progresso nella digitalizzazione e nella transizione ecologica. La sostenibilità del sistema di welfare di fronte al declino demografico sarebbe messa alla prova nella sua capacità di essere compatibile con una strategia di crescita duratura e di riequilibrio delle finanze pubbliche.

Nello scenario avverso, una recessione in America trascinerebbe al ribasso l’attività economica anche in Europa e in Cina. La qualità del credito si deteriorerebbe e il sistema finanziario si troverebbe sotto pressione. L’atteso indebolimento del dollaro, già iniziato nel cambio con l’euro, accentuerebbe le difficoltà dell’economia europea nel sostenere la crescita. In Europa si riproporrebbe alle banche centrali il dilemma tra rianimare la ripresa congiunturale attenuando la stretta, oppure perseguire l’obiettivo di stabilità dei prezzi, che non è stato ancora raggiunto. I rischi derivanti dalle guerre in corso potrebbero riverberarsi con tensioni nel commercio internazionale e nei corsi dei principali mercati energetici e delle materie prime. Le sfide del cambiamento tecnologico accrescerebbero il fabbisogno di grandi investimenti e di riflesso di finanziamenti, che postulerebbero una migliore retribuzione del capitale al netto dei rischi. Per il loro sostegno, tuttavia, ai governi con le loro finanze in deficit e l’alto debito resterebbe un ridotto spazio di manovra rispetto agli scorsi anni.

Le prospettive per l’economia italiana non differiscono da quelle delineate in entrambe gli scenari. Più accentuata, invece, la sua esposizione all’evoluzione dell’economia europea e di quella mondiale in considerazione della paucità di fattori interni che possano sospingere la crescita. Dopo l’effimera ripresa del 2022 gonfiata da misure insostenibili, le probabilità di contrastare un eventuale rallentamento economico sono principalmente legate all’allentamento della stretta monetaria da parte della Bce e alla puntuale ed efficace attuazione del PNRR, nonché a riforme di sistema. Attraverso questi interventi il Paese potrebbe accelerare il necessario rinnovamento tecnologico e stimolare gli investimenti privati come conseguenza dei progressi nella produttività e competitività. Appare, invece, non più attuabile, o almeno poco sostenibile, continuare nella strategia degli scorsi decenni, che ha visto nei disavanzi pubblici persistenti la principale fonte di propulsione della crescita. Il risultato è stato che non si sono costruite le fondamenta di una crescita duratura e si è resa la politica economica ostaggio dei mercati finanziari nel finanziare i disavanzi e il debito.

Nel 2024 non mancheranno nuove sorprese sia nel quadro internazionale, sia in quello interno al Paese. Affidarsi alla possibilità di un miglioramento delle condizioni esterne ed interne non appare giustificato dalle premesse d’inizio d’anno e dall’eredità ricevuta da quello concluso. È necessario, piuttosto, essere preparati tanto a fronteggiare al meglio le eventuali avversità, quanto a sapere gestire con lungimiranza i frutti di una possibile evoluzione in positivo. Ma il nostro Paese è preparato per questa prospettiva?

 

 

 

 

 

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