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Non solo Usa ed Europa. Anche per la Federazione Russa il 2024 sarà un anno elettorale. La data per le prossime elezioni presidenziali  è stata infatti ufficialmente fissata per il 17 marzo 2024. E, anche se non ancora ufficializzata, la ricandidatura di Vladimir Putin è più che prevista. Alcune fonti anonime hanno già fornito conferme all’agenzia Reuters: “La decisione è stata presa: si candiderà”. In caso di vittoria, il settantunenne leader della Russia da un ventennio rimarrebbe all’apice della gerarchia della Federazione fino al 2030, per il suo quinto mandato presidenziale. La sua terza candidatura di fila (resa possibile grazie alla riforma costituzionale promossa da lui stesso nel 2020) gli permetterebbe di raggiungere il traguardo di trent’anni come presidente, al netto dell’intermezzo 2008-2012, in cui la carica è stata assunta dal suo delfino Dmitrij Medvedev, mentre Putin ha assunto quella di primo ministro.

In caso di conferma della candidatura, non ci sarebbero dubbi sull’esito delle elezioni. Già l’anno scorso il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov si era esposto in questo senso, affermando che “le elezioni presidenziali non sono una vera democrazia, ma una costosa burocrazia”, quasi un fastidio. Aggiungendo poi che Putin che “sarà rieletto l’anno prossimo con oltre il 90% dei voti”. Eppure, nonostante le parole e l’ottimismo di Peskov, lo svolgimento delle consultazioni elettorali avrà dei riflessi importanti.

Ben Noble e Nikolai Petrov, fellows del Russia and Eurasia Programme di Chatham House, rimarcano come l’avversario da battere per Putin sia Putin stesso: un risultato inferiore a quello conseguito nel 2018, sia in termini di preferenze che in termini di affluenza, verrebbe vissuto come una battuta d’arresto e come una bocciatura all’interno del regime autocratico moscovita, motivo per cui l’apparato del Cremlino si sta già mobilitando per capitalizzare al massimo i consensi disponibili attraverso quello che viene definito definito il “menu of manipulation” da Andreas Schleder, l’autore di “Electoral Athoritharism”, saggio di successo su come i regimi autoritari elettorali praticano l’autoritarismo dietro le facciate istituzionali della democrazia rappresentativa.

Queste elezioni, tra l’altro, vedranno per la prima volta la partecipazione al voto dei residenti degli oblast di Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson, annessi dalla Russia dopo la loro occupazione militare all’interno del conflitto ucraino. Con molta probabilità il risultato che emergerà dai seggi di queste aree sarà uno dei più rilevanti dell’intera consultazione.

Poche sono le informazioni disponibili sulle altre candidature. L’ex legislatore Boris Nadezhdin, che occupa un seggio nel consiglio comunale della regione di Mosca, e la giornalista e avvocato Yekaterina Duntsova hanno ufficializzato la loro corsa, ma risulta difficile credere che possano ottenere risultati importanti, tantomeno rappresentare una minaccia concreta alla vittoria di Putin. Molto probabile sarà anche la ricandidatura di Gennady Zyuganov, leader del Partito Comunista e storico coopetitor dell’attuale presidente. Ma anche in questo caso, dai risultati conseguiti da Zyuganov in passato, niente non lascia presumere che lo Zar possa uscire trionfatore dalla consultazione.

Le uniche due personalità in grado di ottenere risultati rilevanti sono entrambe imprigionate. Da una parte c’è Alexey Navalny, oppositore putiniano dall’ormai connotazione mitologica, che ha fatto diffondere un comunicato online dove invita a schierarsi contro l’attuale inquilino del Cremlino: “Putin vede queste elezioni come un referendum sull’approvazione delle sue azioni. Un referendum sull’approvazione della guerra. Sconvolgiamo i suoi piani e facciamo in modo che il 17 marzo nessuno sia interessato al risultato truccato, ma che tutta la Russia veda e capisca: la volontà della maggioranza è che Putin se ne vada” si legge nella dichiarazione.

Dall’altra c’è Igor Girkin, detto Strelkov: ex-ufficiale delle forze di sicurezza in pensione, ha guidato i separatisti sostenuti da Mosca nell’Ucraina orientale nel 2014 ed è stato condannato per omicidio nei Paesi Bassi per il suo ruolo nell’abbattimento di un jet passeggeri della Malaysia Airlines nello stesso anno. Le sue critiche verso Putin, definito come una “nullità” e una persona di “vile mediocrità” hanno portato al suo arresto nel luglio di quest’anno con l’accusa di estremismo. Rendendo difficile una sua possibile candidatura.

Al momento, la strada di Putin verso la riconferma sembra essere in discesa. Anche se non è possibile prevedere con esattezza quale dinamiche entreranno in gioco nei prossimi mesi.

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