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Bruce Aylward dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha comunicato che in questo momento «la risposta al virus sta prendendo il sopravvento». I casi di nuovi infettati in Liberia, il paese più colpito dall’epidemia di Ebola, stanno diminuendo – «slowing in Liberia».

La crisi, tuttavia, non è finita, ha sottolineato Aylward: ci sono circa 13703 casi accertati, che finora hanno prodotto circa 5000 vittime. A leggere il dato le parole del funzionario dell’Oms sembrano un po’ fuori sincrono: infatti, il numero di malati pubblicato dall’organizzazione sabato era di 10141 (la prima volta sopra a dieci mila), cioè oltre tremila in meno di quanto detto giovedì. Ma Aylward ha precisato che in realtà l’incidenza di nuovi casi sul conteggio è minima: la crescita apparente è dovuta all’aggiornamento del data base del bilancio delle vittime con situazioni precedentemente non segnalate.

La campagna di informazione sulla malattia, sta avendo dunque i primi frutti: inizialmente le popolazioni degli stati colpiti si sono chiuse, hanno sottovalutato il pericolo, curato i malati con metodi non consoni: sottovalutazione anche a seguito di narrazioni sull’epidemia virale molto fantasiose. Il chirurgo oncologo David Gorski ha scritto su Science Blogs: «Le pandemie, tirano fuori la pazzia». E infatti, sebbene ebola non abbia ancora raggiunto il livello definito dalle organizzazioni internazionali “pandemia”, di pazzia ce n’è stata molta.

Pazzia frutto di una psicosi collettiva e di un’isteria negligente, ignorante e spesso superficiale. Lobby farmaceutiche, guerra biologica, piani di sterminio di massa a causa della sovrappopolazione, bianchi contro neri: un importante quotidiano liberiano ha raccolto tutte insieme queste teorie complottiste, arrivando a scrivere che il virus è in realtà un costoso bioarmamento creato dalle aziende farmaceutiche dei governi “bianchi” per eliminare quanti più neri possibile e diminuire la popolazione della Terra. In Guinea ci sono stati pure otto morti tra gli operatori sanitari internazionali, attaccati dalle famiglie dei malati, perché “in realtà erano loro che andavano a contagiare gli altri”. Fantasie che alimentano le paure, .

Ma allo stesso tempo, mentre la CNN entrava in ciclo continuo con analisi e approfondimenti, un’infermiera potenzialmente infettata in America veniva lasciata libera di volare con altri passeggeri e in Spagna un’altra infermiera che mostrava evidenti segni di contagio, andava a sostenere un concorso pubblico: girava con la mascherina e diceva «temo di avere l’Ebola», ma nessuno ci credeva. E invece. Superficialità, spaventose.

Ora, dopo che la prima reazione della Casa Bianca era stata quella di “dichiarare guerra al virus”, è lo stesso presidente Obama ad invitare a non cedere all’isteria, ma di tenere alta la guardia. Qualche giorno fa ha abbracciato nello Studio Ovale Nina Pham, la prima delle infermiere americane contagiate in suolo americano, ora guarita: e il portavoce Josh Earnest ci ha tenuto a sottolineare che il presidente non aveva preso nessuna precauzione – insomma, l’elevazione esponenzialmente globalizzata del pollo mangiato da Lamberto Sposini al Tg5 contro la psicosi da aviaria del 2006. Poi Obama ha pure spedito Samantha Power – ambasciatrice USA alle Nazioni Unite – in un tour tra i Paesi colpiti. La Power ha lodato gli sforzi internazionali e quelli delle nazioni coinvolte, ed è tornata a casa con un’assegno da 1 milione di dollari firmato Motsepe, primo riccone del Sud Africa – i soldi saranno girati in Guinea.

E intanto anche la seconda infermiera di Dallas è stata dimessa, guarita, come pure quella spagnola (che se l’è presa perché le hanno soppresso il cane, ma qui finiamo nel grottesco), mentre invece un’altra finita sotto osservazione ha deciso di rompere la quarantena. Kaci Hickox, rientrata nel Maine dopo essere stata in Sierra Leone con Medici Senza Frontiere, si è detta in perfetta salute dopo aver seguito scrupolosamente la prassi di isolamento volontario – notare che aveva mostrato “sintomi da ebola”. Tutto questo in una scena surreale, in cui la donna, con il fidanzato, improvvisava una conferenza stampa (c’erano NBC e ABC) sul vialetto di casa, e dall’altra parte della strada la polizia che aspettava un ordine del tribunale per arrestarla (in violazione alle misure federali di profilassi). L’infermiera ha accusato il governo degli Stati Uniti di «bullismo», prendendosela con i politici che «costringono» le persone a stare in casa «anche quando non rappresentano un rischio».

Mercoledì Papa Francesco ha rinnovato il suo appello alla Comunità internazionale, affinché si faccia tutto il possibile per fronteggiare l’epidemia. Ma oltre agli Stati e alle Organizzazioni, bisogna che siano le persone a inquadrare la linea corretta: la psicosi e l’isteria collettiva possono diventare peggiori alla malattia (l’Australia per esempio, ha chiuso le frontiere ai “Paesi a rischio” africani, ma così facendo, visto i contagi negli Stati Uniti per esempio, si rischia l’isolamento completo). Ma pure episodi di superficialità come quelli che arrivano dal Maine sono disastrosi – in fondo, l’infermiera, avrebbe dovuto aspettare soltanto fino al 10 novembre, per essere “fuori” dal virus-potenziale e poter uscire senza creare problemi al resto della comunità.

@danemblog

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