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Nella nottata di mercoledì il gasdotto principale del sistema iraniano è stato soggetto a tre incidenti gravi, di cui due, stando al ministro del petrolio Jawad Owji, sono stati “atti terroristici di sabotaggio”. Il direttore delle spedizioni della National Iranian Gas Company Saeed Aghili ha dichiarato che due esplosioni hanno causato incendi ai gasdotti nei pressi di Isfahan, nell’Iran centro-occidentale, e Shiraz, non distante dal Golfo Persico. Sui social sono circolati video dell’esplosione prima che si aggiungessero le notizie del secondo incidente.

La situazione è sotto controllo e la rete nazionale è stabile, scrive l’agenzia di stampa di Teheran, che questa volta non ha indicato colpevoli. Avvenimenti del genere accadono con una certa frequenza in Iran; a settembre un incendio ha colpito una base militare fuori dalla capitale, mentre a dicembre i media di Stato parlavano di una “cospirazione nemica” dietro a un’interruzione di servizio nelle stazioni di rifornimento del Paese. Tendenzialmente il regime degli ayatollah indica o Israele o gli Stati Uniti come i responsabili; non stavolta.

Episodi simili nel passato sono stati ricondotti a gruppi jihadisti di matrice locale, ricorda Al Monitor. Nel 2017 il gruppo estremista sunnita Ansar al-Furqan aveva rivendicato un attacco a un oleodotto nella provincia di Khuzestan, nell’inquieto sud-ovest, mentre nel 2011 tre gasdotti sono stati danneggiati da un’esplosione vicino alla città santa sciita di Qom. Anche quella volta un funzionario statale aveva dichiarato che si trattava di un sabotaggio, ma senza specificare l’autore.

Questa settimana, intanto, degli hacker collegati all’organizzazione dissidente Mujahedin-e Khalq (meglio nota come Mek) ha rivendicato un attacco hacker contro il Parlamento iraniano. Nella cybersfera come nell’infrastruttura energetica, il quadro è quello di un’instabilità diffusa, a tratti carsica, fattasi più evidente dall’omicidio di Mahsa Amini nel settembre del 2022. E in evidente conflitto con l’intenzione, espressa da Teheran lo scorso novembre, di diventare un hub regionale del gas con la sponda strategica di Russia e Cina.

L’Iran sta discutendo di come realizzare il cosiddetto International North–South Transport Corridor, un corridoio logistico multimodale che collegherebbe l’India alla Russia (passando per l’Iran e toccando il Mar Caspio). E il calcio di inizio è stato dato a un evento della Shanghai Cooperation Organization, il cosiddetto sistema “anti-Nato” a guida cinese che al pari dell’Alleanza Atlantica sta vivendo anche una spinta di integrazione economica. In questo caso, la nuova cooperazione immaginata dall’Iran partirebbe dal gas naturale: a novembre, al summit Sco in Kirghizistan, il ministro Owji parlava di accordi multilaterali per rendere strutturale la cooperazione energetica regionale.

L’ambizione si scontra con un’infrastruttura che sconta il fatto di essere carente, dopo anni di sanzioni e vicissitudini economiche, prima ancora di doversi confrontare con l’instabilità sociale. Due delle esplosioni sono avvenute su gasdotti che partono dal giacimento di South Pars, uno dei più importanti al mondo, condiviso con il Qatar (che chiama la sua porzione North Dome), e trasportano il gas verso nord, passando per i centri urbani di Isfahan e Teheran. Le autorità hanno smentito le segnalazioni di carenze strutturali, ma il fatto che le esplosioni siano avvenute su delle arterie così cruciali, come rileva l’esperto Francesco Sassi, rende difficile crederci. Del resto, il terzo incidente è stato addotto all’erosione e a malfunzionamenti locali.

“L’Iran sta subendo una serie di attacchi mortali da parte di organizzazioni terroristiche e separatiste”, continua l’esperto. “Lo Stato Islamico, come Israele, è stato incolpato di aver condotto operazioni per minare la stabilità del regime iraniano, ora in stretto coordinamento con i suoi proxy regionali per sostenere Hamas e attaccare Israele e le forze occidentali che si estendono dal Mar Rosso alla Siria e all’Iraq. La geopolitica energetica è uno dei punti critici del Medio Oriente e potrebbe aiutare ad anticipare le implicazioni di una conflagrazione regionale se la guerra a Gaza si espanderà ulteriormente”.

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