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Le sfide per Ginni Rometty, la prima Ceo donna di Ibm, sono davvero complicate. Il colosso dell’informatica ha praticamente azzerato gli utili nel terzo trimestre, con un calo del 99,6% a 18 milioni di dollari, un tracollo rispetto ai 4 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Sul crollo dei profitti pensa senza dubbio la cessione della divisione chip, in perdita e che Ibm ha ceduto alla GlobalFoundries sborsando per questa operazione 1,5 miliardi di dollari. Ma non solo. Ibm registra anche una contrazione del fatturato, sceso del 4% a 22,4 miliardi di dollari, mentre l’utile rettificato del gruppo è stato pari a 3,68 dollari per azione, contro l’attesa degli analisti di un profitto di 4,32 dollari per azione, su un fatturato di 23,39 dollari. I risultati sono dunque sotto le attese del mercato, ma anche sotto le previsioni della società stessa, che ha accantonato l’obiettivo di un utile per azione di 20 dollari nel 2015.

IBM DEVE CAMBIARE MODO DI FARE IT

“Siamo delusi dalla nostra performance. I nostri risultati mettono in evidenza una velocità di cambio senza precedenti nella nostra industria”, ha commentato la Ceo Rometty, sottolineando che Ibm “ha molto da fare e deve farlo velocemente”.

La “crisi” di Ibm descrive le difficoltà di un gruppo che ha costruito la sua fortuna nell’epoca in cui l’It era fatto di “macchine” (computer, server, mainframe, chip) ad adattarsi all’era moderna in cui l’It è fatto di servizi più “impalpabili” (big data, analytics, mobile, cloud). Ibm lo sa e si è liberata gradualmente dei business meno redditizi e meno al passo coi tempi: i Pc, venduti alla cinese Lenovo nel 2005, i server x86, venduti sempre a Lenovo quest’anno, ora la produzione (ma non la ricerca) dei chip – e gli analisti si aspettano in un prossimo futuro uno spin-off anche della divisione storage. Ma se Big Blue vuole uscire dalle sue difficoltà a testa alta deve rapidamente reinventarsi abbracciando il nuovo modo di fare It.

“Ibm è nel mezzo di una inevitabile transizione che richiederà molti anni”, afferma  Steven Milunovich, analista di Ubs. “I profondi cambiamenti sul mercato della tecnologia hanno un impatto enorme sulle attività tradizionali di Ibm”.

“Ibm si trova sul lato sbagliato della catena del valore dell’It odierno”, osserva Dan Ives, analista di FBR Capital Markets. “La crescita è tutta nel cloud” e le aziende “mature” hanno grandi difficoltà nella transizione verso il cloud computing. Le attività tradizionali nei server e nel software enterprise infatti rallentano e la concorrenza arriva dai fornitori del cloud come Google e Amazon, aziende che difficilmente qualche anno fa sarebbero state considerate concorrenti di Ibm. Google, per esempio, si sta rafforzando con decisione nel cloud computing: dopo aver acquisito Stackdriver e Sync, in questi giorni ha rilevato Firebase, società Usa che offre agli sviluppatori una piattaforma per creare in modo semplice applicazioni e servizi, mobili e web, che archiviano e sincronizzano i dati in tempo reale. L’obiettivo è quello di integrare Firebase nella Google Cloud Platform.

A questi concorrenti Ibm deve dare una risposta. Big Blue ha avviato attività nelle aree “nuove” ad alto tasso di crescita (cloud computing, mobile, business analytics, social e servizi di security) ma queste contribuiscono per ora solo al 25% alle revenues di Ibm. Il compito della Ceo Rometty è ampliare questa quota il più possibile. Reinventarsi è il suo mantra e un must per Ibm.

“Ibm non sta facendo scelte sbagliate”, osserva Scott Kessler di S&P Capital IQ. “Ma è un’azienda così grossa e così strutturata che anche se prende decisioni nella giusta direzione in termini di investimenti e acquisizioni, sembrano sempre poca cosa o in ritardo”.

“Ibm deve restringere il suo focus, eliminare ogni distrazione dal core business”, dice ancora Dan Ives di FBR. “La vendita dei chip va in questa direzione: Ibm si libera di un business in difficoltà e si concentra meglio sulle attività core”.

LA VENDITA DEI CHIP

Il business dei chip (progettazione e produzione di processori) nel terzo trimestre ha rappresentato circa l’11% del fatturato complessivo di Ibm. L’attività è stata venduta a GlobalFoundries, produttore di processori di proprietà di un fondo sovrano di Abu Dhabi, pagando 1,5 miliardi di dollari. L’attività di chipmaking era in perdita e Ibm avrebbe dovuto investire molto di più per aggiornare la tecnologia di produzione.  

Le trattative con GlobalFoundries sono state lunghe e si sono scontrate con la difficoltà di accordarsi sul prezzo che Ibm doveva pagare per permettere a GlobalFoundries di rilevare la divisione chip. Ibm era inizialmente disposta a dare 1 miliardo di dollari ma GlobalFoundries ne chiedeva due. Inoltre, non c’era intesa su chi dovesse mantenere la proprietà intellettuale e la ricerca collegate con il business dei processori: Ibm ha infatti cercato di mantenere il controllo della proprietà intellettuale e della progettazione dei chip, mentre GlobalFoundries era interessata proprio a queste aree, più che agli stabilimenti di produzione. L’accordo infine raggiunto con GlobalFoundries prevede che quest’ultima rilevi il principale stabilimento produttivo di Ibm a Fishkill, New York, e uno stabilimento più piccolo, nel Vermont, assumendone i circa 5.000 dipendenti. Le due partner hanno anche firmato un contratto di fornitura di 10 anni con cui GlobalFoundries diventa fornitore esclusivo di processori per server per Ibm. In cambio GlobalFoundries ha ottenuto di poter acquisire anche tutta la proprietà intellettuale della divisione chip di Ibm, divenendo così proprietaria di uno dei più vasti portafogli di brevetti nel settore dei semiconduttori, mentre Ibm si garantisce i chip di cui ha bisogno per i suoi sistemi, come i computer mainframe e la tecnologia di analisi dei dati Watson.

Ibm non intende comunque dismettere del tutto le attività nei chip: continuerà ad essere attiva nella ricerca. A inizio anno Big Blue ha indicato che investirà 3 miliardi di dollari nella ricerca e progettazione dei chip per i prossimi cinque anni e oggi questo impegno è stato ribadito. “Ci concentreremo sulla ricerca e sviluppo dei futuri sistemi ottimizzati per cloud, mobile, big data analytics e transazioni sicure”, si legge in una nota del colosso It.

LE SFIDE DELLA CEO ROMETTY

Ecco dunque le fide che Ginni Rometty dovrà vincere: cloud, mobility e analytics sono le aree su cui puntare per tornare a crescere per frenare il calo delle revenues, in flessione da nove trimestri consecutivi. E per convincere i clienti a tornare da Ibm: le aziende si rivolgono sempre più spesso ai modelli software-as-a-service anziché investire in costosi hardware e servizi di consulenza e scelgono provider alternativi. Di fronte a questo trend, la risposta di un colosso come Ibm non è facile, perché deve dimostrarsi veloce e agile e capace di cambiare mentalità, abbracciando i nuovi paradigmi di cloud computing, software per big-data, strumenti per il mobile e il social.

La Rometty ha cercato di reagire riorganizzando la divisione ricerca di Ibm, tradizionalmente divisa nelle tre aree hardware, software e servizi. Con la nuova strategia ora la ricerca si allinea intorno ad altri pilastri tecnologici: big data, cloud, e “engagement”. Ha anche acquistato il fornitore di servizi cloud SoftLayer Technologies, l’anno scorso, per 2 miliardi di dollari. La Rometty sta investendo poi 1 miliardo di dollari per sviluppare e commercializzare Watson, il sistema di cognitive-computing di Ibm. Watson, risultato di decenni di ricerca sull’intelligenza artificiale e l’elaborazione del linguaggio naturale nei laboratori Ibm, è tra le priorità della Rometty, che vuole farne un business redditizio, con applicazioni commerciali. Così il super-computer è stato testato in ambienti di lavoro reali, come il New York Genome Center, e la sua piattaforma è stata aperta a sviluppatori terzi per poter creare delle applicazioni. Watson rappresenta una scommessa di lungo termine della Rometty per portare Ibm a essere leader nelle vendite del settore dell’analisi dei dati, dove l’anno scorso ha fatturato “appena” 16 miliardi di dollari.

Per aprirsi al mondo del mobile, la Rometty ha annunciato un’alleanza con Apple per lo sviluppo di servizi ottimizzati per iOs. Ibm ha anche investito pesantemente nel cloud—non solo con l’acquisizione di SoftLayer ma sborsando altri 1,2 miliardi di dollari per aprire 40 nuovi data center per il cloud in tutto il mondo, tra cui alcuni progettati specificamente per il governo americano. Le revenues dal cloud di Ibm crescono al ritmo del 69% annuo, ma anche qui il fatturato è ancora una piccola fetta nella gigantesca torta delle revenues di gruppo: 4,4 miliardi di dollari. Compito della Ceo adesso è fare dei business più promettenti, ancora marginali, il traino dei risultati Ibm, sostituendo gradualmente settori che appartengono ormai al “vecchio” modo di fare It.

Ibm

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