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Più leggevo qualche giorno fa su ItaliaOggi l’onesto e divertente “atto di contrizione e di ammenda” del direttore Pierluigi Magnaschi per avere considerato a torto Silvio Berlusconi “fuori corsa”, sottovalutandone quindi la capacità di riprendersi la scena politica accanto al giovane presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi, più pensavo a un altro politico italiano che proprio per la caparbietà con la quale sapeva riprendersi da ogni caduta si guadagnò dall’indimenticato e indimenticabile Indro Montanelli il soprannome di “Rieccolo”.

Era naturalmente il toscanissimo e democristianissimo Amintore Fanfani, che non faceva in tempo a cadere nella polvere, scalzato dagli avversari esterni ma soprattutto interni al suo partito, e già se la scrollava di dosso per cercare di rimontare a cavallo. Immagine, questa del cavallo, che ha appena adoperato Eugenio Scalfari sulla sua Repubblica, sempre a proposito di Berlusconi, e con lo stesso spirito autocritico di Magnaschi.

Penso che a Berlusconi non dispaccia sentirsi paragonare a Fanfani, ch’egli del resto ha fatto in tempo a conoscere quando ancora aveva peso e ruolo nella Dc, a dispetto della posizione di “notabile” nella quale avevano cercato di confinarlo come presidente del Senato. Glielo aveva presentato e glielo faceva incontrare ogni volta che ne aveva la voglia Giampaolo Cresci, che di Fanfani era l’infaticabile, fedele, pazientissimo portavoce. Tanto paziente e disponibile che una volta, come lui stesso mi confidò, per toglierlo d’impaccio si scusò e si assunse la responsabilità di una scoreggia sfuggitagli in auto.

Fanfani era uno che decideva all’istante, e d’istinto, e d’astuzia. E altrettanto all’istante, d’istinto e d’astuzia cambiava decisione per aggiornare alle situazioni nuove la tattica per perseguire sempre lo stesso obiettivo: mantenere il potere faticosamente conquistato, o riconquistarlo se perduto. In questo era a suo modo “geniale”, come mi disse una volta Aldo Moro commentando, quasi ammirato, la rapidità e la bravura con le quali Fanfani gli aveva appena procurato un’amarezza, chiamiamola così, nelle sempre alterne vicende interne della Democrazia Cristiana.

Se Berlusconi avesse accettato nel 1993, quando già i suoi amici e collaboratori progettavano Forza Italia, la proposta dell’allora segretario Mino Martinazzoli di lasciarsi candidare al Senato nello scudo crociato come indipendente, secondo lo schema adottato nel 1948 da Alcide De Gasperi e poi ripetuto proprio da Fanfani con Cesare Merzagora, la Dc forse non sarebbe morta.

Ma Berlusconi, avendo imparato a conoscere come editore televisivo l’ostile sinistra democristiana meglio dell’uomo che la rappresentava alla guida del partito, Martinazzoli appunto, rifiutò. E non so ancora, francamente, se fece bene o male. Egli preferì mettersi in proprio e scegliersi altri alleati, dei quali poi si sarebbe lamentato, spesso a ragione, accusandoli di averlo più ostacolato che aiutato al governo.

La cosa curiosa del nostro panorama politico, non so se condivisa o no dall’amico Magnaschi, è che, fisico a parte, per la sua ostinazione, per la sua imprevedibilità, e anche per la capacità di cadere e di rialzarsi, come dimostrano le primarie perdute nel 2012 e stravinte solo un anno dopo, assomiglia a Fanfani anche Renzi, peraltro toscano come lui, diversamente dall’ex cavaliere brianzolo.

A Fanfani, del resto, ha già avuto modo di paragonare Renzi la sua fedelissima e giovanissima ministra Maria Elena Boschi, figlia di un fanfaniano e aretina come lo scomparso leader democristiano. Di Fanfani hanno riconosciuto “tracce” quanto meno caratteriali anche fanfaniani autorevoli che seguono ormai la politica con il distacco dell’età e delle delusioni come l’ex segretario democristiano Arnaldo Forlani e l’ex ministro e sindaco di Roma Clelio Darida.

Da Fanfani, almeno sinora, Berlusconi ha ereditato anche una certa sfortuna nella gestione delle corse al Quirinale, nelle quali il leader democristiano fallì sempre, sia come candidato sia come sponsorizzatore di altri. Renzi, che è ancora troppo giovane per candidarsi direttamente, è chiamato invece in questi giorni a provare se saprà e riuscirà a fare meglio di Fanfani per portare al Quirinale, possibilmente d’intesa “nazarena” con Berlusconi, un suo candidato. Fanfani da lassù si godrà lo spettacolo, magari accanto a Ghino di Tacco.

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