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Nella trasmissione “Che tempo che fa” del 28 settembre, Matteo Renzi ha parlato del “sogno di una sinistra che offre opportunità”. E ha affermato allo stesso tempo di “sentirsi più vicino a Enrico Berlinguer che a Bettino Craxi”.

Parole criticate da Stefania Craxi perché ritenute apertamente contraddittorie con l’operato riformista dell’ex leader del Partito socialista italiano.

Paragone possibile?

Adesso un parallelo tra Craxi e Renzi viene prospettato dalla Fondazione Socialismo, in occasione della pubblicazione del volume curato dagli ex esponenti del Psi Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta e intitolato “Decisione e processo politico. La lezione del Governo Craxi (1983-1987)”.

(UMBERTO PIZZI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO. TUTTE LE FOTO)

Nessuna analogia

Nessun elemento di comparazione tra le due figure è colto dallo storico Piero Craveri: “Craxi proveniva dalla grande tradizione democratica e socialista, era persona appassionata che coltivava l’interesse per la storia. Era profondamente ancorato alla società italiana e agli elementi di vitalità creativa della sua Milano. Elementi oggi scemati, come rivelano le Leopolde di Renzi”.

A cavallo tra anni Settanta e Ottanta, spiega l’ex parlamentare radicale, l’allora leader del Partito socialista propose un esecutivo in grado di governare. Trovando numerosi ostacoli nell’asse convergente Dc-Pci. L’ex primo cittadino di Firenze ha di fronte un’Italia de-strutturata.

La spinta comune verso una democrazia governante

Craxi non riuscì ad aggregare uno schieramento politico capace di rovesciare i rapporti di forza con il blocco conservatore tuttora egemone nel nostro Paese. Realtà che ha sempre tentato di espellere le leadership con l’ambizione di governare in modo incisivo: Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Bettino Craxi.

A giudizio dello studioso forse è questa l’attitudine che lega i due personaggi: “Craxi lanciò un seme, raccolto prima da Silvio Berlusconi facendo germogliare un albero con ben pochi frutti nel costruire una credibile alternativa di centrodestra riformatore. E poi da Renzi, che sotto la sigla del Partito Democratico rischia però di creare una nuova Democrazia cristiana”.

L’ex Cavaliere anello di congiunzione

Berlusconi costituisce, per il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, l’autentico trait d’union tra il rinnovatore del socialismo italiano e l’attuale premier.

L’ex Cavaliere, rimarca il giornalista, non ha soltanto saputo incarnare la riforma elettorale maggioritaria del 1993 conferendole visione politica, sentimento e alterità anti-comunista, tra mille contraddizioni, errori, conflitti di interesse. Non è riuscito solo a sventare “l’ascesa al potere della ‘gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto’ che avrebbe reso l’Italia succube dei pool di Milano e Palermo”.

Ma è lui, rileva Ferrara, ad aver “prodotto” Renzi. Il quale rifiuta la sindrome anti-berlusconiana coltivata per molto tempo dalla cultura progressista. E afferma l’idea della personalizzazione della politica vagheggiata da Craxi nella stagione proporzionale e parlamentare della “Repubblica dei partiti”. Tendenza rivelata con la defenestrazione di Enrico Letta da Palazzo Chigi, realizzata in contemporanea con la redazione del Patto del Nazareno fondativo di una nuova Repubblica.

Renzi frutto di Berlusconi

Grazie all’ex Cavaliere pregiudicato e condannato, l’ex sindaco di Firenze è assurto da outsider con poca gavetta a protagonista della vita pubblica.

E ha potuto riesumare e rilanciare la politica dei “meriti e bisogni” teorizzata da Claudio Martelli nel 1982, poi ripresa da Tony Blair negli anni Novanta.

Riuscendo a togliere spazio di azione allo stesso Berlusconi e alle prospettive di ricostruzione del centro-destra.

La falsa leggenda del Craxi decisionista

Eppure, rileva la firma de La Stampa Marcello Sorgi, emerge una netta differenza tra Renzi e Craxi. Perché, lungi dall’essere decisionista e temerario, l’ex leader socialista rivelò continui tentennamenti e oscillazioni nel portare avanti l’offensiva vincente contro Partito comunista e Cgil sulla Scala mobile.

La ragione di tale atteggiamento, osserva, risiede nel suo ancoraggio all’architettura prefigurata dalla Costituzione repubblicana: “Concepita per favorire scelte politiche largamente condivise rispetto a una visione bipartitica e governante della democrazia”. Al contrario Renzi ha conquistato il Partito Democratico con un’opa esterna fondata sull’idea della “Rottamazione”: “Lo ha fatto grazie a parole e slogan semplici di efficacia comunicativa in un lessico paludato”.

Per entrambi l’accusa di autoritarismo

Tuttavia, rompendo con il filone cattolico-popolare da cui proviene, il numero uno del Nazareno pensa che bisogna andare al governo per cambiare le cose. Rappresentando la voglia di rinnovamento dell’opinione pubblica, e non conciliando tutto come voleva la Democrazia cristiana. “È per questa ragione che il premier, esattamente come Craxi, attira su se stesso le accuse di velleità autoritarie”.

Allarme, evidenzia il direttore di Reset Giancarlo Bosetti, spesso sovra-dimensionato nella vicenda repubblicana del nostro Paese: “Non è il cesarismo il tratto unificante delle esperienze di Craxi e Renzi. E neanche di Berlusconi, nonostante il ruolo di monopolista nel panorama mediatico”.

La mancanza del coraggio nell’ex leader socialista

L’autentico problema italiano, precisa l’ex condirettore de L’Unità, risiede nei lunghi cicli politici risolti nel “nulla di fatto”: “Rispetto a tutto ciò l’ex leader del Psi e il premier rivelano in forma prudente la capacità di sfidare i veti dei blocchi conservatori e degli equilibri consolidati”.

Tuttavia Craxi, pur portando il Partito socialista nel centro della scena politica e riscuotendo storiche vittorie, non rovesciò i rapporti di forza a sinistra come era riuscito a fare Francois Mitterrand Oltralpe.

E la sua proposta istituzionale di “Grande Riforma” imperniata su un moderno Cancellierato e sull’elezione popolare del Capo dello Stato rimase sulla carta. “Per non parlare del modo perverso in cui utilizzò gli spazi enormi di spesa pubblica all’epoca esistenti”.

La metamorfosi dei partiti

Craxi in altre parole ragionava e agiva nello scenario del “partito organizzato di massa”, mentre a partire dagli anni Novanta si è venuto affermando il “partito degli elettori e delle primarie”.

Trasformazione compresa e interpretata da Renzi per costruire la propria ascesa, vissuta come trauma dalla minoranza interna del Pd. Elemento, ricorda Bosetti, peraltro mancante nel versante di centro-destra.

Il fil rouge che lega Craxi e Renzi attraverso Berlusconi

Nella trasmissione “Che tempo che fa” del 28 settembre, Matteo Renzi ha parlato del “sogno di una sinistra che offre opportunità”. E ha affermato allo stesso tempo di “sentirsi più vicino a Enrico Berlinguer che a Bettino Craxi”. Parole criticate da Stefania Craxi perché ritenute apertamente contraddittorie con l’operato riformista dell’ex leader del Partito socialista italiano. Paragone possibile? Adesso un parallelo tra…

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