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Uno studio condotto dalla CGIA di Mestre e pubblicato proprio in questi giorno dopo la bufera romana dimostra, numeri alla mano, che nel settore pubblico ci si ammala più spesso, ma mediamente si perdono meno giorni di lavoro che nel settore privato. Secondo dati del 2012 i giorni di malattia medi registrati tra i lavoratori del pubblico impiego sono stati 16,72 (con 2,62 eventi per lavoratore), nel settore privato, invece, le assenze per malattia hanno toccato i 18,11 giorni (con un numero medio di eventi per lavoratore uguale a 2,08).

Mentre attendiamo dal governo feroci contromisure continuiamo a ragionare sui dati forniti che – hainoi! – sono per settore, per regione, per classi di età ma non per genere. Dunque ancora una volta i lavoratori sono generici e non riusciamo a sapere come in altri Paesi i dati disaggregati tra uomini e donne. Sono stati 6 milioni i lavoratori dipendenti italiani che hanno registrato almeno un evento di malattia e mediamente, ciascun lavoratore dipendente italiano si è ammalato 2,23 volte ed è rimasto a casa 17,71 giorni: complessivamente sono stati quasi 106 milioni i giorni di malattia persi durante tutto l’anno. Oltre il 30 per cento dei certificati medici che attestano l’impossibilità da parte di un operaio o di un impiegato di recarsi nel proprio posto di lavoro è stato presentato di lunedì.

In altre parole, tra quelli che hanno presentato un certificato medico nel corso del 2012, quasi un lavoratore dipendente su 3 ha iniziato la malattia il primo giorno della settimana. La malattia di un lavoratore, spiega lo studio della Cgia, viene considerata come unico evento anche nel caso di più certificati tra i quali intercorra un intervallo di tempo non superiore a 2 giorni di calendario. I dati sono stati estratti dall’Osservatorio sulla certificazione di malattia dei lavoratori dipendenti privati e pubblici dell’Inps, avviato nel 2011. Il motivo della mancanza di una serie storica più lunga deriva dal fatto che la trasmissione telematica dei certificati di malattia da parte dei medici di famiglia è andata a regime solo nel 2011.

Comunque stando invece ai dati Inps e un rapporto proprio dell’Istituto l’ andamento relativo al 2013 pubblicato nel novembre scorso in quell’anno “sono stati trasmessi 11.869.521 certificati medici per il settore privato e 5.983.404 per la pubblica amministrazione; nel settore privato il numero dei certificati di malattia trasmessi è stato sostanzialmente uguale a quello del 2012, con un aumento dell’1,1%, mentre per la pubblica amministrazione complessivamente si rileva un aumento del 9,2%”. Ancora sempre INPS dice che “confrontando le serie mensili dei certificati medici trasmessi per settore, emerge che nel settore privato l’andamento è abbastanza stabile nel triennio 2011-2013”.

Nel pubblico, invece, lo stesso periodo “evidenzia un trend crescente”. Secondo CGIA a livello territoriale la maglia nera spetta alla Calabria: nel 2012 ogni lavoratore dipendente calabrese è rimasto a casa mediamente 34,6 giorni. La media sale addirittura a 41,8 nel settore privato. Tra i lavoratori dipendenti più “cagionevoli” troviamo anche i siciliani (con 19,9 giorni medi di malattia all’anno), i campani (con 19,4) e i pugliesi (con 18,8). Gli operai e gli impiegati più “sani “, invece, li troviamo a Nordest. Se i lavoratori dipendenti dell’Emilia Romagna rimangono a casa mediamente 16,3 giorni all’anno, in Veneto le assenze per malattia scendono a 15,5 per toccare il punto più basso nel Trentino Alto Adige, con 15,3 giorni.

II lavoratori anziani infine sono più a rischio dei giovani. Dalla rilevazione emerge che le assenze aumentano in misura corrispondente al crescere dell’ età. Se fino a 29 anni il numero medio di giorni di malattia per lavoratore è pari a 13,2, nella classe di età tra i 30 e i 39 anni sale a 14,9, per toccare il valore massimo sopra i 60 anni, con 27,4 giorni medi di assenza all’anno. La durata media degli eventi di malattia è, comunque, relativamente breve. Nel 71,7 per cento dei casi la guarigione avviene entro i primi 5 giorni dalla presentazione del certificato medico.

Non solo i pizzardoni romani

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