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Mentre alla Cop28 di Dubai si parla del futuro dell’energia, dalla sede dell’Opec+ a Vienna arriva un potente promemoria del potere che l’oro nero esercita ancora sugli equilibri globali. Oggi, giovedì 30 novembre, i membri del cartello di produttori si sono accordati su un altro taglio alla produzione, un altro milione di barili di petrolio al giorno in meno. Una mossa che potrebbe invertire la tendenza al ribasso del prezzo del greggio, come ha indicato la rapida fiammata del prezzo dell’indice Brent (più 1,5% appena dopo l’annuncio).

Non era un risultato scontato: la riunione di giovedì si sarebbe dovuta tenere una settimana prima, ma tre Paesi africani avevano incrociato le braccia, rifiutandosi di tagliare ulteriormente la produzione e resistendo alla pressione dei due player principali, Russia e Arabia Saudita. Ma il continuo calo del prezzo del greggio nello scorso mese – anche al netto delle tensioni in Medio Oriente, e perlopiù favorito dall’aumento delle produzioni di Stati Uniti e Venezuela – può aver presentato agli Stati restii una prospettiva ancora più scoraggiante del vendere meno barili.

Nell’ambito dell’accordo raggiunto, riporta il Wall Street Journal, Riad ha anche esteso il taglio da un milione di barili al giorno che aveva deciso a giugno d’accordo con Mosca. Stando agli analisti di Goldman Sachs, la capitale saudita ha bisogno che il prezzo rimanga pari a 88 dollari al barile per finanziare i suoi ambiziosi progetti di rinnovamento. Dunque era il caso di limitare  la produzione, vedendo il prezzo slittare sotto gli 80 dollari al barile, temendo una debolezza diffusa dei prezzi e preoccupata per la domanda anemica – a sua volta dovuta al rallentamento dell’economia globale.

La mossa del cartello ha diverse ripercussioni a livello internazionale. Nonostante le tensioni, l’Opec+ ha anche deciso di accogliere il Brasile, il più grande produttore di petrolio del Sud America, come nuovo membro a partire da gennaio. È un’altra interconnessione nella fitta rete di interessi che lega i cosiddetti Brics, gruppo che secondo alcuni osservatori lavora per “superare l’egemonia imperialista-economica occidentale” (anche se le posizioni di Brasilia, Nuova Delhi e Pretoria non sono sovrapponibili a quelle di Mosca e Pechino).

C’è poi sullo sfondo la guerra tra Israele e Hamas, con le fazioni cristallizzate in un precario cessate il fuoco e un inasprimento delle posizioni contro la potenza militare israeliana, anche dalle parti di Riad, che pure ha tenuto una posizione relativamente neutralista (e anzi lavora per evitare che l’altra potenza regionale, l’Iran, destabilizzi ulteriormente la regione).

I segnali non sono tranquillizzanti: ci sono le azioni contro gli interessi americani e occidentali in Iraq e Siria condotti dalle milizie locali sciite (legate ai Pasdaran), ci sono le attività anti-israeliane degli Houthi che rischiano di destabilizzare la fascia che va dal Mar Arabico al Mar Rosso (fondamentale per la sicurezza dei traffici petoliferi). Non è il caso di fare paragoni con la crisi del 1973, ma in un contesto del genere ogni mossa può avere effetti a cascata.

Infine, si potrebbe anche azzardare un collegamento con l’apertura dei lavori della Cop28, che il leader dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol ha definito il “momento della verità” per i produttori di idrocarburi. Se l’Opec+ pensa che sia necessario investire nel settore fino al 2045, l’Iea (e un numero crescente di attori tra istituzioni e società civile) parlano di aumento “inarrestabile” dell’energia verde ed esortano i player a dirottare i soldi sull’energia pulita. Non è impensabile supporre che le mosse di giovedì siano un segnale per chi pensa che l’era del petrolio stia tramontando.

Opec+, un altro taglio all’alba della Cop28. Quali gli impatti?

Il cartello di produttori ha superato l’impasse, optato per diminuire la produzione di un altro milione di barili al giorno e spalancato le braccia al Brasile. La mossa vuole correggere il calo del barile, ma il momento (tra tensioni in Medio Oriente e apertura della Cop28) e le prospettive sul lungo periodo danno un taglio anche geopolitico alla mossa

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