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Sull’appuntamento di Newport è calato il sipario. Il summit della Nato iniziato ieri si è concluso con alcune decisioni militari e molte speranze di pace. Lo spettro della terza guerra mondiale – quella fra Russia e occidente – sembra allontanarsi anche per via dell’eco delle intese di tregua siglate da Kiev e Mosca. Un primo risultato, tutto da consolidare, che è frutto però del fronte sostanzialmente compatto dei Paesi che compongono l’Alleanza Atlantica. Le sanzioni economiche già decise e quelle pronte ad essere approvate insieme al varo di una capacità di “primo intervento” bellico costituiscono un potenziale deterrente che Putin non può permettersi di ignorare.

La Germania e l’Italia sono le nazioni più legate energeticamente alla Russia e quelle che pagano il prezzo più alto nella contrapposizione commerciale con l’ex Unione Sovietica. Proprio la posizione divenuta più risoluta di Berlino e Roma è stato un termometro per comprendere che lo spazio di ambiguità nel quale Putin e Lavrov si muovevano abilmente, andava chiudendosi. La fermezza europea è la più potente arma per evitare un’irreparabile escalation da parte russa. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni nell’ambito dei negoziati per un cessate il fuoco duraturo, ma il vertice della Nato ha chiarito oltre ogni legittimo dubbio che l’Alleanza c’è ed è nettamente impegnata a garantire la sovranità dell’Ucraina, tanto più dopo che è stata già ceduta la Crimea.

Quanto al contrasto dell’Islamic State, il lavoro è stato anche qui articolato su due binari paralleli: quello militare e quello diplomatico con il coinvolgimento dei Paesi presenti nella regione araba. E’ nata la coalizione contro il terrore Jihadista, invocata in tempi non sospetti anche dalle colonne di Formiche.net, e l’Italia ne fa parte da protagonista. L’intervento sul campo (a terra) delle forze Nato è almeno per il momento escluso ma non il pieno coinvolgimento a sostegno delle popolazioni civili e delle minoranze religiose. Potrebbe sembrare una soluzione di comodo ma non lo è. E’ invece un approccio strategico che tiene conto degli errori del passato. E’ la stessa logica che ha portato a sfiduciare l’ormai ex premier iracheno per favorire un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti territoriali e religiose del Paese.

“E’ la politica la risorsa di cui ha maggiore necessità la Nato” ha detto il presidente del Consiglio italiano. Non ha affatto torto Matteo Renzi ad affermarlo ed è proprio nella categoria della politica che va iscritto il risultato positivo di questa giorni nel Galles. Quanto alla dimensione più interna, il capo del governo ha lanciato due messaggi molto chiari: 1) investire in innovazione è la chiave per sostenere il settore della difesa (e non solo, evidentemente); 2) sulle spese militari bisogna sconfiggere la diffidenza dei cittadini spiegandone le ragioni e le finalità. Renzi ovviamente non ha parlato di risorse (la spesa aumenterà?) nè dei singoli programmi.

Il convitato di pietra è evidentemente il coinvolgimento italiano sugli F35 dove sono rilevanti anche le ricadute industriali. La decisione dell’esecutivo non potrà attendere i mille giorni e forse neppure i tempi previsti per il varo del Libro Bianco. Su questo, anche alla luce delle riflessioni svolte durante il vertice, vedremo nelle prossime settimane l’orientamento di Renzi. Di certo per ora si registra non solo “l’emozione personale” del giovane premier ma una accresciuta consapevolezza da parte dell’Italia. Essere parte dell’Unione europea e dell’Alleanza Atlantica significa essere parte “core” del più grande progetto di pace possibile. La sicurezza infatti non si tutela solo con le parole ma anche con gli strumenti della Difesa, primo fra tutti la politica.

Vertice Nato, Putin e Renzi. La politica contro lo spettro della Terza guerra mondiale

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