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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Erdogan è ancora stabile al potere ad Ankara? E’ dal dicembre 2013 che il Premier turco è in crisi di legittimità politica.

E’ in quel momento, infatti, che il governo dell’AKP, un partito nato con l’improbabile progetto di unire islamismo e riforme liberali, tenta di bloccare una grande inchiesta contro la manifesta e diffusissima corruzione presente nel governo turco, al centro come in periferia.
Appaiono nel Febbraio precedente su Youtube alcune conversazioni tra Erdogan e suo figlio Bilal, con quest’ultimo che confessa al padre di non riuscire a nascondere e trasferire in modo anonimo la bella cifra di 30 milioni di Euro, di evidente proprietà di Erdogan.

Il figlio Bilal, poi, chiede al padre di “sistemare” altri 10 milioni di Euro, anch’essi di oscura ma intuibile provenienza.
La rottura tra il primo ministro e il presidente Gül implica poi che la vasta maggioranza del partito AKP, un’organizzazione politica dalle ampie risorse, intende portare Erdogan alla Presidenza.

Anche il miracolo economico turco è agli sgoccioli, a causa proprio della corruzione.
Il 23 Gennaio 2014 il presidente della TUSIAD, la “Confindustria” turca, ha dichiarato che il paese non attira più investimenti esteri, dato che non vi è rispetto delle leggi da parte dello Stato e, spesso, le aziende che non si piegano alle “richieste” vengono colpite da innumerevoli sanzioni fiscali.

E non basta: la rete Ergenekon, la struttura militare kemalista che ha tentato varie volte, anche negli anni di Erdogan, di fare il colpo di stato contro i partiti islamisti, è ormai assimilata, da Erdogan ai partiti di opposizione e alla organizzazione del presidente Gül.
E pensare che l’UE, santa ingenuità, ha sempre richiesto, per l’entrata nefasta della Turchia nell’Unione, la cancellazione della clausola della Costituzione turca che permette ai militari di mettere fuori legge governi e partiti.

E ci poniamo quindi una serie di domande: se è vero, come è vero, che l’AKP di Erdogan nasce dal partito Refah di Erbakan, chiuso per islamismo radicale (ovvero a causa della negazione islamista della separazione tra religione e politica) nel non lontanissimo 1998, e lo stesso Erdogan, allora sindaco di Istanbul per lo stesso Refah viene imprigionato, allora siamo sicuri che l’AKP, nato da un patto tra Erdogan e Gül dopo la crisi del partito-copia di Refah, il “partito della Virtù” nel 2002, non sia ancora una cover dell’islamismo radicale della Fratellanza Musulmana?

Erbakan, l’ingegnere turco educato in Germania opera come strumento della Fratellanza fin dal 1971, in Turchia, con il “Partito dell’Ordine Nazionale” chiuso dai militari durante il colpo di Stato nello stesso 1971.
Il Milli Gorüs, la principale organizzazione della grande comunità turca in Germania, è apertamente legato alla Fratellanza Musulmana.

Il modello di Erbakan e del suo successore Erdogan dell’AKP è quello del nesso fortissimo tra religione islamica e identità nazionale (ed etnica) e, soprattutto, il superamento del nazionalismo laico kemalista per un progetto panturanico di ricostruzione dell’Impero Ottomano.
Una linea del tutto irrilevante, quando non pericolosa, per la futura strategia della NATO in Asia Centrale e nel nesso tra India e Cina.
Un’altra domanda è quindi quella relativa al rapporto tra l’unificazione, perseguita dall’AKP, di tutte le comunità di origine turca in Asia Centrale, e la politica dell’Alleanza Atlantica. La risposta è facilmente intuibile.

Per molti anni la Turchia, la seconda potenza militare dopo gli USA della NATO, è stata funzionale alla dissuasione verso l’URSS nell’area del Grande Medio Oriente, dove Mosca doveva operare, in mancanza di continuità strategica, con alleati lontani, come l’Egitto di Nasser e della prima fase al potere di Sadat, che pure fa finta di mandar via i “consiglieri” sovietici, o con la rete dell’OLP e il legame storico tra Mosca e la Siria baathista.

Oggi, a cosa serve la Turchia nella NATO? Alla sua destabilizzazione finale e al depotenziamento dell’Alleanza in Medio Oriente e verso la ricostruzione che Putin va facendo del vecchio impero sovietico, con le armi economiche invece che con gli SS20.
Occorre quindi ripensare il ruolo della Turchia nell’Alleanza, ricreare un rapporto positivo tra i Paesi europei e le Forze Armate turche, ovvero con tutte le loro organizzazioni, è quindi fondamentale per evitare che la Turchia si trasformi, da copertura della NATO verso l’Est islamico e il rinascere della Grande Russia, in testa di ponte dell’islamismo militante e militare in Europa Occidentale.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa

Tutte le scosse che fanno tremare la Turchia di Erdogan

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