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Caro Renato,

tra di noi esisteva un sodalizio ultradecennale fatto di amicizia, stime e collaborazione che veniva da lontano fin da quando entrambi militavamo nel Psi. L’amicizia e la stima sono rimaste, almeno per me; soprattutto, condividendo con te il giudizio negativo per Matteo Renzi e la sua squadra che davvero rappresentano il peggio del peggio. Purtroppo è venuta a mancare, tra di noi, la collaborazione da quando abbiamo compiuto scelte politiche differenti.

Con franchezza devo comunque dirti che trovo singolare che una persona della tua levatura intellettuale, delle tua conoscenza dei problemi e del tuo coraggio politico (che dimostri spernacchiando quotidianamente, in grande solitudine, il governo dei Puffi), si sia adattato ad aderire di fatto (mi auguro solo per banali ragioni di partito) ai referendum della Lega, inserendo l’abolizione della legge Fornero fra i 6 punti programmatici del futuro centrodestra.

Così sono andato a ricercare nel mio archivio un documento che, a mio avviso costituisce il punto più qualificato della nostra collaborazione: la Nota per una “Maastricht delle pensioni” che preparammo insieme nel maggio del 2003 come “Work in progress” in occasione del semestre di presidenza italiana della Ue. Quella “Nota” – ricorderai certamente – ebbe l’accoglienza che meritava soprattutto per merito tuo che, oltre ad essere un vulcano di idee ed iniziative, possiedi le doti e la fantasia di un grande comunicatore.

Ma lo studio era serio e ben argomentato, a sostegno di un progetto forte ed innovativo: affidare all’Unione europea un ruolo di coordinamento delle riforme delle pensioni (una nuova Maastricht, con tanto di parametri da rispettare). Il punto chiave della “Nota” era sintetizzato nella seguente proposta: “Si dovrebbe indicare per ciascuno Stato membro, in relazione al suo modello pensionistico, sia il livello ideale in termini di sostenibilità finanziaria sia di adeguata compresenza dei tre pilastri del sistema previdenziale. Il sistema dovrebbe essere progressivo sulla base di un programma nazionale di adeguatezza, sostenibilità e modernizzazione, corredato da piani annuali che saranno oggetto di analisi da parte della Commissione e sottoposti al Consiglio e al Parlamento europeo”.

In quello stesso documento denunciavamo con forza che “le riforme fino ad ore attuate sono caratterizzate da una fase di transizione troppo lunga e da misure ancora troppo generose per le generazioni vicine alla pensione, rispetto ai trattamenti previsti, per le generazioni più giovani, nel momento in cui i cambiamenti andranno a regime. In sostanza, il risanamento del sistema pensionistico avviene in larga misura a spese delle nuove generazioni”.

Questa fase di transizione troppo lunga è dipesa sostanzialmente dalla difesa ad oltranza delle pensioni di anzianità, la prestazione previdenziale che è alla base degli squilibri del sistema e a cui si deve – lo sai benissimo – una quota consistente del debito pubblico. La riforma Fornero andrebbe difesa soltanto perché ha abolito questo istituto.

Ricordi certamente l’estate del 2011, quando la Bce, in quella lettera del 5 agosto che per me è come la Bibbia, chiese al governo italiano di superare i trattamenti pensionistici anticipati. La Lega si mise di traverso. E il governo Berlusconi fece un altro definitivo passo verso la fossa.

Abolire la legge Fornero realizzerebbe un solo obiettivo, che è poi quello a cui aspirano i “padani”: ripristinare l’istituto dell’anzianità consentendo a centinaia di migliaia di persone (nel corso degli anni passati sono stati milioni) di andare in quiescenza da cinquantenni e comunque prima di aver compiuto 60 anni.

Ancora nel 2010, l’età media dei pensionati di anzianità era di poco superiore a 58 anni. E’ vero che nella passata legislatura il governo Berlusconi aveva adottato una misura importante di stabilizzazione del sistema attraverso l’adeguamento automatico dell’età di pensionamento all’evoluzione dell’attesa di vita: misura confermata nella riforma Fornero. Ma quel governo e quella maggioranza non erano stati in grado di suturare la piaga infetta del pensionamento di anzianità.

Maurizio Sacconi, in quell’estate drammatica, aveva provato a mettere in discussione il canale di accesso legato al requisito dei 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica (che era la scorciatoia per il pensionamento, in barba allo stesso regime delle quote). Ma quel nostro coraggioso amico venne subissato da critiche disoneste a partire dai tuoi sodali della Lega.

E, per favore, non farmi la manfrina degli esodati. Da autorevole deputato e presidente di un importante gruppo (oltrechè persona competente) sai benissimo che quel “dramma” è esistito soltanto nei talk show di regime (e negli incubi notturni di Cesare Damiano), perché – compatibilmente con le disponibilità finanziarie – la grande maggioranza dei casi meritevoli di tutela ha trovato adeguate risposte in ben sei provvedimenti di salvaguardia, due dei quali (il secondo e il quarto) sono risultati persino più generosi del fabbisogno, al punto di realizzare dei risparmi che permesso il sesto intervento.

Caro Renato, io mi fermo qui. So benissimo che queste mie parole non sortiranno alcun effetto in un Paese in mano ad una banda di ragazzini cresciuti a nutella, incompetenza e presunzione a cui il tuo leader riserva un’attenzione per me incomprensibile. Ma so anche di non avere più niente da spartire con la Lega e Fratelli d’Italia.

Se ti fa piacere, ti confermo i sensi della mia stima e della mia amicizia. Poiché sono più anziano di te, anche se molto meno autorevole, ti ricordo quanto tu mi hai insegnato. La tattica in politica è importante. Ma come diceva Lady Margaret Thatcher i principi lo sono di più.

Lettera aperta a Renato Brunetta

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