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In Ucraina si gioca forse la partita diplomatica (e militare) fra le più complicate degli ultimi vent’anni, se non più.

I due grandi blocchi emersi dalla fine della seconda guerra mondiale si ritrovano in un conflitto dalle dimensioni potenzialmente simili a quello che si concluse poco meno di settanta anni fa.

Non è un caso se il presidente dell’Ucraina abbia evocato esplicitamente il ’39 e se, per ragioni diverse ma con un tempismo quanto meno sospetto, Castro ha evocato lo spirito di Hitler (attribuendo il ruolo di cattivo alla Nato). E non è certo rassicurante il fatto che Putin abbia voluto evocare la sua forza nucleare. Per quanto possa essere stata una prova di debolezza, le parole del nuovo zar di Mosca non possono essere sottovalutate (quanto meno rispetto al nervosismo che esprimono).

Così, dopo i timidi venti di pace registrati a Minsk, i nuvoloni di una guerra sono tornati a coprire il cielo di Kiev. Per quanto in Italia non facciano difetto gli analisti pro-Russia, è francamente difficile negare o minimizzare il fatto che sia proprio Putin ad alimentare le tensioni con il suo impegno militare diretto sul territorio ucraino.

Non sazio dell’aver annesso la Crimea, chi potrebbe assicurare che il presidente russo si possa fermare ottenuta una nuova regione? Non sono solo i paesi dell’ex Urss ad avere paura per la propria sovranità. Se la spregiudicatezza a mano armata dell’Orso non è in grado di trovare naturalmente il proprio limite, questa dovrà essere fermata in qualche altro modo. La diplomazia è la via giusta e migliore. Ma se non funziona?

Sino ad ora, l’Ue (la Germania in modo particolare) è stata impegnata nel dialogo per le vie ufficiali e per quelle più riservate. E’ stata la volta poi delle sanzioni economiche. Nulla però ha fermato Putin. Lo spettro di un intervento armato nel frattempo sembra materializzarsi. D’altra parte se la Russia attacca l’Ucraina (come sta avvenendo) resta ben poco su cui dialogare.

Siccome però “si vis pacem, para bellum”, la Nato inizia a mostrare i muscoli. Al summit in programma giovedì e venerdì in Galles, darà vita a una forza di reazione rapida forte di 4.000 tra soldati e commandos in grado di essere schierata entro 48 ore in qualsiasi Stato membro dell’Alleanza a sua difesa come una “punta di lancia”. Lo ha annunciato, il britannico Guardian, attribuendo al segretario generale Rasmussen l’idea di un’unità in grado di “viaggiare leggera ma di colpire pesantemente”, sostenuta da forze aeree e navali.

Questa novità arriva in tempo per la visita del presidente Usa nei Paesi baltici, che della Nato già fanno parte. Se infatti l’Alleanza può non intervenire automaticamente in Ucraina (poiché Kiev non aderisce all’organizzazione internazionale di difesa), il discorso cambia se ad essere coinvolta nel conflitto fosse una repubblica baltica.

Lo scenario, per essere chiari, è da brivido. Putin deve trovare un modo per far fare ai suoi militari un vigoroso passo indietro. Il suo ministro degli Esteri, Lavrov, è fra i più abili fra quelli in servizio. Oggi ha telefonato alla Mogherini per invocare uno sforzo diplomatico. Con la nostra neo responsabile della politica estera e di sicurezza comune dell’Europa avrà trovato una interlocutrice disponibile e attenta.

Il richiamo al dialogo però rischia di arrivare troppo tardi se annunciato da un battaglione di tank sul territorio ucraino. La Mogherini lo sa (non potrebbe non saperlo) e difficilmente si lascerà ammaliare dalle doti retoriche del collega russo. Ormai non si discute più di questioni specifiche come l’energia. Il bivio è fra la pace e la guerra.

Ad essere ottimisti, Putin ha il 50% delle responsabilità circa l’esito che vorrà. All’Europa e all’Italia tocca il compito – urgente – di spiegargli che con una guerra fredda si può anche vincere ma che con una guerra “calda” l’unico esito possibile è la sconfitta (di tutti).

Putin, la minaccia della terza guerra mondiale, l'Europa e la Nato

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