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Se si digita nella barra di ricerche di Google “situation room”, più o meno la metà delle prime dieci foto ritrae la stessa immagine. Che sia reale o filtrata da qualche caricatura/meme (come quella con i supereroi), si parla sempre dell’ormai mitica posa “await” durante la cattura di Osama Bin Laden.

Immagine iconografica che richiama molto più della fine del leader qaedista, ma racconta l’apice di un sentimento di paura, di terrore, di lotta e di incertezza, che è venuto meno – almeno momentaneamente – dopo quei 38 minuti del blitz nel comporto di Abbotabad e quel breve, intenso, serrato, quasi perfetto, discorso di Obama dalla East Room della Casa Bianca (da dove si danno di solito solo buone notizie, come ricorda Don Keefer nella puntata dedicata alla cattura di Newsroom).

Lo scatto è del fotografo ufficiale della White House, Pete Souza, ed è stato fatto alle 4:06pm del primo maggio 2011. Era in corso l’operazione “Neptune Spear” – sì, come spesso accade gli americani fanno confusione con la mitologia: Nettuno non aveva una lancia, ma un tridente.

La tensione era alle stelle: ci sono altre foto di Souza che riprendono un Obama preoccupatissimo – una su tutte la “2” di questo slideshow, che è la mia preferita e che è meno conosciuta ma altrettanto iconografica. Il presidente era ovviamente in ansia: c’erano diversi uomini d’élite del (poi sfigatissimo) Team Six che stavano affrontando l’operazione contro il ricercato mondiale numero, in un territorio estremamente ostile, all’interno di un paese che aveva avuto un comportamento discutibile (eufemismo!) nei confronti dei terroristi.

Un altro pezzo di iconografia contenuto in quell’immagine è la posa di Hillary Clinton, ai tempi Segretario di Stato. La mano sulla bocca, gli occhi sbarrati, i muscoli delle mascella tesissimi che scoprivano il trigemino: profondamente preoccupata per quel passaggio cruciale del counterterrorsim globale, tribolava in attesa della ferale notizia di fine (e completata) missione.

Sarah Kaufman, dance critic del Washigton Post e Pulitzer per la critica nel 2010, in una completissima analisi dell’immagine pubblicata dal WaPo, studiò il linguaggio del corpo della Clinton e arrivò a dire che era lei il vero centro della scena, la mano che soffocava l’angoscia era «espressiva, emozionale, umana», era ciò che rapiva il pubblico.

Successivamente Hillary confessò ad ABC News (era il 5 maggio del 2011),  che in quel preciso momento non aveva alcuna idea di cosa stesse guardando – le immagini delle camere sugli elmetti degli incursori, in effetti devono essere state rapide, scure, concitate, al limite dell’incomprensibile – e che in realtà temeva che nel click dello scatto fosse stata ripresa mentre emetteva un colpo di tosse, dato che in quei giorni soffriva di una fastidiosa, banalissima, allergia. Non per sminuire il valore della situazione, ma i successivi passaggi politici personali furono dettati da un certo distacco e sobrio understatement, che avevano portato Clinton a minimizzare, quasi ad ironizzare, su quel momento iconico.

Tosse da allergia, dunque: così sapeva il mondo – e non la preoccupazione come tutti, Kaufman compresa, pensavamo.

Fino a qualche giorno fa, quando in un intervista di Vittorio Zucconi, cover story dell’ultimo Venerdì di Repubblica, la Clinton rivelava che in realtà era angosciata per la situazione. Non allergia, ma ritorna la preoccupazione dello statista – adesso.

Non se n’è accorto quasi nessuno, se non Christian Rocca, direttore di IL, che dopo aver letto il pezzo di Zucconi, ha subito notato il cambio di versione e scritto un tweet, che Jason Horowitz del New York Times ha ripreso e ne ha fatto un pezzo. Funziona così, oggi, il giornalismo – nota: ‘sta cosa non ditela all’Ego del Giornalista.

Così come funziona la politica, ma quello da sempre. La corsa presidenziale si avvicina, il terrorismo incombe di nuovo a livello mondiale – dallo Sham allo Xinjiang – e le posizioni sugli affari internazionali di Obama sono diventate quasi ridicole; dunque occorre riposizionarsi, meno distacco e più politica, allora. Non a caso, sul libro biografico uscito a inizio mese (“Hard Choice” il titolo, e Dio sa se l’operazione al compound di Abbottabad è stata una di quelle scelte difficili), Clinton sciorina una seria di soluzioni proposte, dall’Egitto, all’Iraq, dalle armi ai ribelli siriani, fino ad una nota sulle possibili mire espansionistiche di Putin.

Viva Hillary. E viva Rocca, che giustamente s’è beccato anche un «veteran» come osservatore della politica americana da Horiwitz, sulle pagine del mostro NyTimes – che chiude il pezzo, ricordando che se davvero la Clinton dovesse decidere di correre per la Casa Bianca, dovrà aspettarsi due anni di controllo, «costante e globale». Full body, aggiungo.

@danemblog

(Qui il link al post dove Rocca racconta il fatto)

La tosse e la statista

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