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Pubblichiamo un articolo di Atlantide (Agenzia Nova) 

Permane una forte incertezza su quanto sta accadendo in Libia. La sfida lanciata dall’ex generale gheddafiano Khalifa Haftar non ha infatti contribuito per il momento a semplificare il quadro politico locale, nel quale ormai coesistono due linee formali di autorità legittime e numerosi centri di potere di fatto. È opinione diffusa che intorno ad Haftar, che proviene da una tribù della Sirte nel pieno centro della fascia costiera del Paese, si sia stretto un consistente numero di attori interni ed esterni, che hanno visto in lui un argine al caos ed alla deriva della Libia verso la frammentazione e l’islamizzazione politica.

I MILITARI EGIZIANI

Tra i suoi sostenitori vi sono quasi certamente i militari egiziani, forse gli algerini e probabilmente anche gli Stati Uniti, seppure non manchino coloro che ritengono la strategia Usa puramente attendista e reattiva agli eventi. Washington ha però rischierato militari in Sicilia e dislocato una nave d’assalto anfibio classe Bataan proprio di fronte alle coste libiche: pare quindi difficile che gli Usa intendano rimanere davvero passivi sino alla fine.

Non sono invece con Haftar i tunisini, che anzi temono il suo successo come un prolungamento della controffensiva scatenata dall’Arabia Saudita contro la Fratellanza musulmana e le sue varie articolazioni locali. Gli europei sono al momento alla finestra, incerti sul da farsi e complessivamente impotenti ad influenzare decisivamente le dinamiche in via di sviluppo.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Anche l’Italia sembra interrogarsi sul migliore corso d’azione da intraprendere. Per quanto più volte sollecitato a muoversi anche dal presidente Usa Barack Obama, non ultimo in occasione della sua visita a Roma del 27 marzo scorso, il nostro governo preferisce ancora, almeno apparentemente, rimandare la propria scelta del raggruppamento da favorire, forse per non farsi tagliare fuori dagli equilibri della Libia di domani. I limiti che comunque incontra in questa fase l’Italia non sono di poco conto: Roma è infatti alle prese con una crisi che riguarda non solo le disponibilità in termini di risorse finanziarie e militari, ma altresì la stessa propria capacità psicologica e politica di immaginare uno stato finale, un punto di caduta desiderabile in Libia che sia davvero funzionale ai nostri interessi nazionali.

Esponenti del governo parlano privatamente in questi giorni della loro speranza riposta in sostegni provenienti dagli alleati europei. Eppure, nessuno stato dell’Ue ha interessi paragonabili ai nostri sulla ex “quarta sponda”, sia sotto il profilo energetico che sotto quello del controllo dei flussi migratori.

MARE NOSTRUM

Nei primi cinque mesi dell’anno, in effetti, anche per effetto del morbido mandato attribuito alla missione navale Mare Nostrum, dalle coste libiche sono giunte circa 39 mila persone, in larga misura profughi provenienti dalla Siria e dal Corno d’Africa, che ormai rappresentano un problema europeo. Roma conta di fare della loro questione una priorità del suo turno di presidenza Ue, ma il pericolo vero è che l’Italia si veda prima o poi sospendere l’applicazione alle proprie frontiere degli accordi di Shengen. Dopotutto, è già accaduto nel 2011.

Cosa sta succedendo in Libia

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