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Sarà una “pausa umanitaria” di quattro giorni quella che permetterà già in giornata di fermare le armi per scambiare prigionieri tra Israele e Hamas. Ciò significa che l’accordo raggiunto mantiene la semantica israeliana sul conflitto: niente “cessate il fuoco”, che avrebbe avuto un significato più ampio per l’intera operazione — la quale viene appunto messa soltanto in “pausa”.

Per il governò Netanyahu questo è un risultato simbolico, anche perché altrimenti l’intesa mediata da Qatar, Egitto e Stati Uniti non sarebbe stata particolarmente favorevole. Doha ha confermato con un comunicato stampa che, come annunciato, l’accordo include il rilascio di 50 donne civili e bambini tra gli oltre duecento che i terroristi palestinesi avevano preso in ostaggi quel sanguinoso 7 ottobre: in cambio Israele rilascerà “un certo numero di donne e bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane”.

Il governo qatarino non mette per iscritto nella comunicazione ufficiale quanti prigionieri palestinesi Israele rilascerà in cambio degli ostaggi, ma tutte le informazioni di stampa finora circolate parlano di una ratio 3:1. Ossia, tre palestinesi per ogni ostaggio rilasciato. Finora sia sulle tempistiche che sul senso generale della trattativa la stampa non ha sbagliato granché, costantemente informata dai negoziatori anche per creare pressione pubblica sulle controparti.

E dunque, Israele accetta uno scambio che non sembra favorevole, quanto meno nei numeri. Ma il risultato deve essere simbolico: i rapiti da Hamas, che ha innescato con la spettacolarizzazione della violenza il trauma psicosociale, tornano nelle loro case sfregiate dal terrore. È un messaggio di vittoria, costi quel che costi.

La pausa umanitaria consentirà anche l’ingresso di un numero maggiore di convogli umanitari e aiuti di soccorso, compreso carburante designato per i bisogni umanitari. Anche questo supera la tattica dell’assedio con cui Israele ha isolato da subito la Striscia e sposta l’equilibrio verso le richieste palestinesi. Hamas sostiene pure di aver bisogno della pausa anche per localizzare gli ostaggi, alcuni dei quali sono stati catturati in modo non coordinato da diversi gruppi militanti durante l’attacco. Il gruppo ha avvisato di aver bisogno di una pausa nella sorveglianza con i droni, dato che teme che Israele possa tracciare le posizioni dei militanti mentre localizzano e identificano gli ostaggi. Accettato pure questo, anche se Israele risponde che tanto può usare altre forme di intelligence per scovare i militanti.

Narrazioni e interessi

La pausa dei combattimenti può anche permettere a Hamas di tirare un sospiro e riorganizzare le forze, perché dalla semantica scelta per gestire la situazione è evidente che Israele si riserva la possibilità di continuare l’attacco, fa notare una fonte diplomatica araba avvisa Formiche.net, la quale aggiunge che appena risolta questa prima fase dello scambio di ostaggi, Israele “dovrebbe riprendere l’invasione della Striscia spostandosi più a sud, perché l’obiettivo di smantellare Hamas resta quello in mente al governo. Nell’immediato, la guerra continuerà: poi si vedrà se si troveranno altre soluzioni”.

“Il governo di Israele è obbligato a riportare a casa tutti gli ostaggi”, dice una dichiarazione israeliana prodotta dopo un incontro tra il gabinetto di guerra e quello di governo — dove non sono mancate le critiche all’accordo, votato soltanto all’ultimo minuto dai rappresentanti dell’estrema destra del Partito Sionista Religioso e non votato dall’Otzma Yehudit, il partito ultra nazionalista del ministro Itmar Ben Gvir. Nel testo si specifica anche che “il rilascio di ogni 10 ostaggi aggiuntivi si tradurrà in un giorno in più nella pausa”. Ossia, si annuncia che per pragmatismo potrebbe essere allungato lo stop ai combattimenti — e potrebbero essere rilasciati altri palestinesi — per ottenere la liberazione di più ostaggi. Una sorta di avviso utile anche per tenere ferme certe constituency che vorrebbero azioni radicali e non negoziati.

Per comprendere il clima interno a Israele. Da un lato, nei giorni scorsi molti cittadini hanno usato la questione degli ostaggi da liberare per criticare ancora il governo di Benjamin Netanyahu, che ormai il 75% della popolazione non ritiene adatto alla gestione della situazione. Dall’altro, mentre nella serata di martedì 21 novembre si riunivano i gabinetti decisionali israeliani, Shlomo Karhi, ministro delle Comunicazioni del Likud, primo dí diciassette fratelli di una famiglia ultra religiosa cresciuta nel moshav di Zimrat, ha detto dall’account X ufficiale del ministero che le forze armate israeliane dovrebbero tagliare il prepuzio dei combattenti di Hamas catturati: una mossa per vendetta, come fece David con i Filistei nel Tanakh.

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