Skip to main content

Era il 9 maggio 1978 quando in via Caetani venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro. Erano trascorsi 55 giorni da quel 16 marzo, quando il Parlamento era convocato a giudicare il iv governo Andreotti, zeppo di ministri dorotei e della destra democristiana, chiamato a superare lo scoglio delle fortissime resistenze dell’apparato e della base del Pci di Berlinguer a solidarizzare con la Dc, l’avversario di sempre.

Moro si era speso per convincere (ma non riuscendovi totalmente) i riottosi democristiani a un accordo politico coi comunisti, dei quali continuavano a non fidarsi. Le tensioni fra i partiti della strana maggioranza non erano dovute a stati d’animo, anche se si trascinavano dietro odi e rancori risalenti alla guerra civile del 1943-1945 e a quelli maturati dopo il 18 aprile 1948. Tutti i partiti, anche per effetto di un dilagante terrorismo (l’anno emblematico della violenza armata era stato il 1977) erano smarriti. Nessuno di essi era in grado di proporre un sistema di governo chiaramente alternativo al centro-sinistra, o a una coalizione Psi-Pci¬gruppi più a sinistra, ovvero a una coalizione straordinaria ma pur sempre provvisoria fra Dc e Pci.

La strage di via Fani trovò un’Italia complessivamente impreparata ad affrontare l’emergenza terroristica. Incredulità, sgomento, sottostima della potenza di fuoco delle Brigate rosse e del loro ardire anti-Stato, furono i sentimenti che dominarono le prime settimane del sequestro. Per qualche tempo i cittadini accettarono la generale limitazione di libertà, se quella era la condizione – in via eccezionale – per frenare la sconosciuta (e sospetta raffinatissima) arditezza dei brigatisti. I quali si fecero ben presto vivi coi loro comunicati, scritti con parole di guerra ideologica, politica e militare, dimostranti una lunga (e non solo recente) preparazione. Se per la prima settimana la maggioranza degli italiani si strinse attorno alla cosiddetta “linea della fermezza”, voluta da Berlinguer, fatta propria da Zaccagnini e Andreotti ma anche dai socialisti, dal momento del chiaro depistaggio dell’annuncio brigatista che il corpo di Moro fosse rintracciabile nel lago della Duchessa, il fronte unitario della fermezza venne frantumato dalla improvvisa insorgenza della capacità trainante della linea trattativista lanciata da Craxi. Il trattativismo ebbe in realtà due versioni. La prima, politico-culturale, facente capo al Psi e apertamente sostenuta dai radicali e dal gruppo del manifesto, favorevole allo scambio politico richiesto dai brigatisti.

La seconda, formulata da Paolo VI operò per riscattare la vita a Moro; fece appello alla sensibilità umana dei brigatisti e confidò nella disponibilità di alcuni uomini dello Stato (il presidente Leone e l’ex segretario democristiano Fanfani) per una sorta di scambio di prigionieri che, in ogni caso, si risolvesse con la liberazione di Moro e con quella di terroristi non macchia¬tisi di reati di sangue o malati. L’assassinio di Moro, effettuato il 9 maggio, proprio il giorno in cui si delineava la possibilità di uno sbocco del tipo concordato fra il pontefice e alcuni alti esponenti dello Stato, ridimensionò entrambe le forme trattativiste.

Teoricamente si coniugò con la linea della intransigenza e provocò la rottura tra la famiglia Moro e la Chiesa e con l’universo politico; nonché la restaurazione apparente dello Stato di diritto, non indulgente sino a farsi sopraffare dal sovversivismo. Due gli effetti più vistosi: la linea della corresponsabilità di governo fra Dc e Pci si liquefece progressivamente; lasciando impantanati i due maggiori partiti italiani in un cabotaggio parlamentare che via via portò all’inversione di marcia del Pci e all’abbandono definitivo della solidarietà nazionale. Leone si dimise anticipatamente da capo dello Stato sotto l’aggressione giornalistica di Camilla Cederna, lasciando spazio di manovra, nelle presidenziali di luglio, ai tatticismi velenosi, tutti interni al variopinto mondo di sinistra, che portarono all’elezione di Pertini (candidato assembleare non desiderato da Craxi) al Quirinale. La Dc s’impigliò in un isolamento dal quale non si sarebbe mai più ripresa: in parte perdendo la sua centralità, che risaliva al dicembre 1945.

Dalla morte di Moro certo non trasse vantaggio la Dc, che restò marchiata dalla fermezza, senza che le fosse riconosciuto il contributo di sangue che aveva versato comunque salvando lo Stato dall’assalto brigatista. Continuarono invece a incontrare consensi quegli intellettuali che si erano attestati sulla linea pilatesca “né con lo Stato, né con le Br”, sposata da non pochi media. La segreteria Zaccagnini risultò fortemente contestata dalla famiglia Moro, dai socialisti e dalla destra democristiana e clericale. Il Pci di Berlinguer tornò all’opposizione, ma lasciò anche cadere definitivamente la sua linea del compromesso storico (proposta nell’autunno 1973) che, pur non essendo stata accolta dalla Dc, aveva richiamato l’attenzione di Moro per il suo intrinseco significato di politica funzionale a una democrazia matura che l’Italia non avrebbe mai sostanzialmente conosciuto.

A guadagnare un po’ di potere fu l’autonomismo socialista, rinforzato dal codazzo radicale e da una più rilevante simpatia del liberalismo riformista. Ma il brigatismo rosso, pur mandato disperso dagli arresti, da processi interminabili, da condanne che apparvero persino generose, lasciò un segno nell’indifferenziato mondo della sinistra antagonista. Sino a fare breccia in un Pci che, dimenticato totalmente Berlinguer, anche nelle sue successive trasformazioni rimase attestato sulle posizioni di un partito di lotta e di governo: non dissimili da quelle di par¬tenza dell’aprile 1944 imposte da Togliatti.

Aldo Moro, frammenti di un delitto politico

Era il 9 maggio 1978 quando in via Caetani venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro. Erano trascorsi 55 giorni da quel 16 marzo, quando il Parlamento era convocato a giudicare il iv governo Andreotti, zeppo di ministri dorotei e della destra democristiana, chiamato a superare lo scoglio delle fortissime resistenze dell’apparato e della base del Pci di…

Confindustria, tutti i bisticci tra Squinzi e Regina

Tanto tuonò, che piovve. Nei corridoi di viale dell'Astronomia, sede di Confindustria, si vociferava da tempo che tra il presidente Giorgio Squinzi e il vice con delega allo Sviluppo, Aurelio Regina, la sintonia era ai minimi termini. Eppure pochi pensavano che si potesse arrivare davvero a una rottura, come qualche esponente lombardo garantiva, non si sa se prevedendo o auspicando…

Chi è Gian Piero Scanu, l'uomo che vuole disintegrare gli F-35

"Entro giugno". Sono questi per Gian Piero Scanu i tempi per "portare in Aula o in commissione una risoluzione per impegnare il governo" a seguire quanto contenuto nella relazione al termine dell'indagine conoscitiva sugli F-35 approvata ieri in commissione Difesa alla Camera. Le linee guida espresse in quel testo dovrebbero portare il governo Renzi ad opzionare solo metà dei 90…

Ansaldo Energia, perché Cdp ha preferito Shanghai Electric a Doosan

Primo: “Ansaldo Energia: abbiamo dimostrato che l'intervento di CDP non era contro investimenti stranieri,ma serviva a trovare il partner migliore”. Secondo: “Ansaldo energia: si apre per una eccellenza italiana il mercato cinese che da solo acquistera' un terzo delle turbine prodotte nel mondo”. Con questi due tweet il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, ha commentato la sigla…

Caro Renzi, ecco come bonificare il calcio

“Il calcio? Non può più essere mantenuto dallo Stato, qui chiudono aziende e pmi figurarsi se si può foraggiare il pallone”. E’ il giudizio tranchant che dà del caso Olimpico durante la finale di Coppa Italia, il giornalista Rai Giancarlo Governi, tifoso laziale, alla vigilia dell’uscita del suo libro “In volo con l’Aquila”. Governi traccia un bilancio dell’esperienza Daspo e al…

Perché aggiornare l'immagine di Aldo Moro

I misteri che ancora avvolgono la vicenda del sequestro e della morte di Moro pesano come un macigno sulla nostra democrazia. Per questo, anche se distratti, comunque ne siamo colpiti, ora come allora, fin nell'intimo della coscienza individuale e collettiva: abbiamo bisogno di capire le ragioni più recondite di un atto di rara violenza, causa di gravi ripercussioni destinate nel…

Il Ppe tra passato e futuro

Molto probabilmente mai come in questo caso vi sarà un ampio dibattito proprio sullo stadio attuale del processo di integrazione europea. L’imminenza delle elezioni politiche per il Parlamento europeo ha già infatti determinato un dibattito molto acuto proprio in riferimento alla fase attuale del processo medesimo. Stiamo infatti discutendo sull’euro in qualche modo proprio per decidere se andare avanti verso…

Vi spiego perché su Alitalia è stupido giochicchiare con Etihad

Sulla questione Alitalia, per dirla senza tanti giri di parole, rischiamo di fare una pessima figura. Chiudere o meno l’accordo con Etihad non significa solamente salvare la compagnia italiana, ma le modalità con le quali è stata e sarà gestita la trattativa porteranno ad una serie di conseguenze che riguardano tutto il Belpaese e le sue relazioni economiche e politiche…

Perché è preferibile smontare il Fiscal Compact che scassare l'euro

L’euro non ha funzionato bene, ha generato nei suoi 15 anni di vita più divergenza che convergenza, conducendo con la crisi a penalizzazioni eccessive per i Paesi periferici. Il ritardo con cui si è consentito alla BCE di debellare attraverso gli OMT il panico finanziario ha fatto si che quest’ultimo guidasse per un lungo periodo le scelte di politica economica…

×

Iscriviti alla newsletter