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Il paradiso elvetico, ricovero di milionari in pensione o giovani ereditieri, ma anche di varia malacarne farcita di denaro, esibisce ai giorni nostri un sole opaco, reso pallido dal turbinare della crisi globale. Pure le sue banche, nel cui mito sono cresciute generazioni intere di redditieri, sono finite nel terribile cono d’ombra del dubbio, erodendo perciò la costituente di tale paradiso, ossia la certezza che, comunque vada il mondo, portare i soldi in Svizzera regali un sonno tranquillo, dove il denaro cresce rigoglioso senza sforzo e, soprattutto senza rischi.

Come tutti i sogni, anche quello svizzero, però, è ingannevole. Il piccolo paradiso s’appoggia incerto sul limitare dell’inferno, che nel nostro tempo economicizzato corrisponde al turbinare incerto delle economie europee, con le quali, pure se la Svizzera non vorrebbe, il paese è profondamente interrelato, vuoi per i suoi commerci, vuoi, appunto, per le sue banche.

La disgraziata Europa, con la quale la Svizzera mai ha voluto mischiarsi, esporta la sua rovina sin qui, nelle idilliache valli d’Engandina, con i suoi torbidi e le sue insicurezze, spingendo la banca centrale a imbottirsi di debiti per tenere il franco svizzero, improvvisamente divenuto bene rifugio, a un livello che sia commercialmente sostenibile.

E poi, che dire del mercato immobiliare? Nel suo ultimo assessment sul sistema bancario elvetico, il Fmi nota che “sembra stia apparendo una bolla immobiliare”. Bolla temutissima, anche per i più smemorati. Troppo recente è la memoria degli sconquassi originati dal mattone statunitense con i quali le banche per prime son state chiamate a fare i conti.

Perciò anche quelle svizzere si sono trovate improvvisamente agli onori della cronaca. Proprio loro che nel tempo hanno costruito la loro fortuna sull’invisibilità, che sempre nel nostro mondo malato d’econom(an)ia corrisponde al non finire mai sulle pagine dei giornali a causa d’una qualche nequizia.

E invece ecco che il Fmi le addita alla pubblica attenzione, il che non è mai un buon viatico per un paradiso finanziario. A ragione peraltro, visto che “il settore finanziario svizzero è uno dei più grandi al mondo, specialmente in rapporto al Pil”, ospitando peraltro la Svizzera due delle più grandi banche al mondo classificate come global sistemically important financial institution (G-SIFIs), ossia di quella terribile genia delle banche troppo grandi per fallire. Entrambi, e in particolare la Ubs, “sono state duramente colpite dalla crisi”, nota il Fmi. A queste si aggiunge una delle più grandi compagnie di riassicurazione al mondo.

Pensate che queste due banche quotano il 43% del totale dei depositi e il 18% dei capitali. A queste si aggiungono 24 banche cantonali, una delle quali è stata definita domestically sistemically important financial institution (D-SIFI) e una banca cooperativa, (la Raiffeisenbank).

Sicché la piccola Svizzera, già dal 2009, ha dovuto dotarsi di una supervisione unificata, un po’ come ha fatto l’eurozona con il suo SSM, già dal 2009. Il supervisore (FINMA) ha introdotto alcune pratiche prudenziali, imponendo fra l’altro alle due big bank di aumentare il capitale anche tramite l’uso di COCOs. Ma in generali tutte le banche hanno aumentato il loro capitale, dopo aver condotto un deciso de-leveraging.

Rimane il fatto che non è abbastanza. I rischi della Svizzera, infatti, dipendono dai suoi vicini di geografia, quindi l’Ue e in particolare dai PIIGS, e dal mattone, ma anche dalla circostanza che i tassi negativi che in alcuni scadenze deliziano i debitori elvetici, stanno mettendo a dura prova il modello di business delle assicurazioni e dei fondi pensione.

A fronte di tutto ciò le autorità fanno ovviamente del loro meglio, se non fosse che al peggio non c’è mai fine.

Gli standard prudenziali sollecitati dai regolatori devono fare i conti con la circostanza che le due banche globali sono ancora più pesantemente leveraged delle altre. Altresì, malgrado gli accordi internazionali di risoluzione in discussione sulle G-SIFIs e il rafforzamento dei poteri della FINMA, c’è il rischio che non sia abbastanza per garantire la stabilità di queste entità. Senza considerare che il Fondo suggerisce che sia “profondamente revisionato il sistema di garanzie dei depositi, in modo da fornirlo di fondi adeguati.

Chiunque pensasse che i problemi bancaria tormentino solo i colossi, tuttavia, sbaglierebbe. Le banche cantonali, infatti, hanno un’esposizione creditizia molto concentrata sui mutui immobiliari “e alcune di queste hanno una governance debole”, in un contesto in cui “le difficoltà in una può facilmente estendersi all’intero gruppo”.

In generale, poi, è apparso un nuovo rischio che fa capire quanto sia diventata pericoloso il paradiso (bancario) terrestre: il rischio di contenziosi.

Proprio ciò che ha fatto la fortuna del modello bancario svizzero, ossia il vantaggio fiscale e soprattutto l’anonimato, sta lentamente franando sotto i marosi della crisi, che ha incattivito gli stati, nel senso che li ha resi più affamati.

La caccia all’evasore internazionale, perciò, deve necessariamente far tappa di là dalle Alpi, che ospitano private banker fra i più rinomati del mondo. Figuratevi con che gioia i vari clienti “grigi” delle banche svizzere acconsentirano ad asseverare un cambio così drammatico di consuetudine. E poi ci sono le grandi banche, finite nel mezzo dei peggiori scandali finanziari internazionali recenti, dal Libor al Tibor.

Insomma: non ci stanno più le banche svizzere di una volta.

Prima o poi tale considerazione si consoliderà nell’immaginario. E il paradiso diverrà un po’ più simile al purgatorio, visto il peso che ha il settore bancario sull’economia nazionale.

Infatti il Fondo nota che la Svizzera, “come gran parte dell’Europa, rimane pesantemente dipendente dal settore bancario”.

Saranno pure svizzeri. Ma sempre in Europa stanno.

Non ci sono più le banche svizzere di una volta

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