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Il raffronto tra Renzi e Fanfani offerto dall’ottimo Massimo Bordin ha delle indubbie analogie. Specie per quanto attiene alle caratteristiche personali: attivismo, spregiudicatezza, abilità, tenacia, cinismo quanto basta. Aggiungerei: frequente ironia e ricorso a metafore gergali toscane di cultura rurale. Anche il richiamo al doppio incarico, di segretario di partito e presidente del consiglio, è azzeccato. Con una sostanziale differenza, però. Renzi non è passato da un vaglio parlamentare, mentre Fanfani giunse al suo primo tentativo di governo (fallito) da ministro dell’interno.

Nel secondo tentativo, quello al quale fa riferimento Bordin, Fanfani era contemporaneamente segretario della Dc (apparentemente padrone dell’apparato del partito e controllore della maggioranza dei gruppi parlamentari), presidente del consiglio e – terzo incarico – ministro degli esteri, su posizioni diverse da quelle degasperiane ma anche dalle segniane. Sulla questione del bombardamento anglofrancese di Suez, condivisa da Segni e da Pella, Fanfani si era allineato con gli americani, così provocando divisioni nella stessa diplomazia italiana (i partigiani di Fanfani venivano chiamati Mau Mau). L’accostamento al De Mita del 1988 è francamente gratuito; se non altro l’uomo di Nusco, certamente vittima di un logoramento politico, governò l’Italia per sette anni.

Però Bordin tocca un tasto contenutistico interessante quando accenna tanto alla funzione che Renzi e Fanfani assegnano all’impresa pubblica nell’economia nazionale che al raccordo fra partito (in quanto forma) e impresa (in quanto soggetto pressante e talvolta dominante). Sarà un caso, ma né il fiorentino Renzi né l’aretino Fanfani hanno avuto alle loro spalle apparati industriali, fabbriche di grande rilievo nazionale. Fu Giorgio La Pira, quale sindaco di Firenze, ad affrontare la crisi del Pignone, forzando la mano a Enrico Mattei e all’ente metanifero che questi presiedeva. E fu sempre La Pira a inventarsi i Colloqui Mediterranei, per fare, della capitale medicea, il vero ombelico del mondo in nome della riconciliazione fra i popoli e per l’affermazione di una pace concreta e non solo utopistica. Ma sia Fanfani che La Pira avevano, a sostegno, popolo italiano vero, lontano dalla società del benessere, più solidale di quello odierno, movimenti organizzati cattolici alla ricerca di una indefinita terza via, nonché un partito che, da solo, superava il 40 per cento dei consensi.

Renzi può confidare in un Pd che, di democristiano, ha solo figure invecchiate e indistinguibili dai postcomunisti; mentre le minoranze interne, nelle primarie largamente minoritarie, in realtà sono state elette in epoca prerenziana, da territori troppo legati all’idea di partito di governo e di combattimento. Quindi Renzi, che pur si presenta con un volto giovane, mette in lista molte donne non sempre preparatissime e, con categorico cipiglio, ogni giorno annuncia qual¬cosa da rottamare (ma ricorrendo al voto di fiducia anche solo per compiere i primi passi), in sostanza guida un esecutivo sdraiato sulla sua personalità. Ma non può, onestamente, negare che le ombre maggiori (forse persino maggioritarie) provengono dall’interno del Pd e dai gruppi parlamentari piddini, tutt’altro che inclini ad approvare le grandi riforme da Renzi concordate con Berlusconi, il capo dell’opposizione più propositiva. In ciò Renzi può somigliare al Fanfani, non respinto dall’autonomismo socialista, colpito a morte dai franchi tiratori della destra democristiana e umiliato alla Domus Mariae dal centro oltre che dalle destre scudocrociate: Andreotti, Pella, Scalfaro.

Bordin ha ragione quando esclude che Renzi sia dotato di quell’esprit florentin che venne attribuito a François Mitterand in Francia. Non solo perché le differenze storiche sono enormi, ma anche in quanto le doti personali risultano incomparabili. Fanfani aveva una statura diversa: era professore universitario prima di entrare in politica; e venne paragonato, non proprio a torto quanto a riforme istituzionali, a Charles de Gaulle. Ma non è questa la sede per soffermarsi in altre spiegazioni, sia pure doverose e necessarie.

Renzi come Fanfani? Analogie e differenze

Il raffronto tra Renzi e Fanfani offerto dall’ottimo Massimo Bordin ha delle indubbie analogie. Specie per quanto attiene alle caratteristiche personali: attivismo, spregiudicatezza, abilità, tenacia, cinismo quanto basta. Aggiungerei: frequente ironia e ricorso a metafore gergali toscane di cultura rurale. Anche il richiamo al doppio incarico, di segretario di partito e presidente del consiglio, è azzeccato. Con una sostanziale differenza,…

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