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Nel corso di questa settimana si è aperto a tutto tondo il tavolo delle riforme. Anzi, sarebbe meglio dire i molti tavoli paralleli dei negoziati. Il M5S, preso atto della sconfitta elettorale, ha deciso di abbandonare il muro contro muro con il Governo, offrendo una nuova proposta di legge elettorale. Il democratellum, così ribattezzato, vorrebbe diventare, su questa linea, la base con cui superare insieme al PD l’impasse dell’Italicum e giungere in breve tempo alla soluzione definitiva dell’annosa questione di come si eleggono deputati e senatori.

Sull’ultima scelta moderata di Grillo e co., in realtà, aleggiano dubbi e contraddizioni. Se, da un lato, è stato intelligente cambiare metodo, avendo costatato il fallimento della spallata anti sistema, è altrettanto vero, dall’altro, che diventare un interlocutore normale può significare per un movimento protestatario perdere la propria identità. Dialogare è, infatti, una scelta sempre opportuna e apprezzabile, anche se talvolta difficile e improduttiva. Si vedrà.

Sull’altro fronte, Forza Italia guida il centrodestra, rilanciando l’antica proposta di una modifica in senso presidenziale della forma di Stato. In questa prospettiva potrebbe aprirsi, per tutta l’area politica popolare e conservatrice, un varco interessante e importante.

Il problema urgente, in realtà, com’è stato detto su Formiche.net nell’editoriale di Michele Arnese, non è avere in serbo un atout che permetta di richiamare più o meno platealmente una migliore e diversa idea di Repubblica. Perché ormai con Renzi tutti gli schemi sono saltati. Semmai è garantirsi un’affidabilità politica andata progressivamente smarrendosi col passare degli anni.

L’efficacia del programma di governo, di fatto, è contraria agli interessi elettorali della sinistra. E se il centrodestra fosse capace di vigilare sulla reale portata dei provvedimenti proposti, incalzando quotidianamente l’esecutivo nel dibattito parlamentare, controllando la coerenza fedele tra il dire e il fare, allora le cose per Renzi si metterebbero subito molto male.

La sfida del centrodestra oggi non sta, in definitiva, nel proporre cose eccezionali, come, ad avviso di chi scrive, è e resta il presidenzialismo, ma nel recuperare un’attendibilità personale ormai smarrita. Renzi, infatti, può riuscire nel suo eroico progetto finché il centrodestra resta inattivo e senza credenziali. In caso diverso, se, ad esempio, emergesse una nuova leadership, o un percorso chiaro per determinarla, e se vi fosse una volontà omogenea e unitaria in tutto il centrodestra, tutto il favore popolare guadagnato di Renzi cadrebbe rapidamente, provocando la recrudescenza della vecchia ala massimalista del Pd a vantaggio del centrodestra.

Insomma, contro la fragile potenza di Renzi a nulla vale evocare il miraggio della democrazia diretta. E’ necessario, invece, esercitarla intensamente, con un vigile lavoro di controllo sull’operato del governo e con una riorganizzazione ideologica dell’opposizione. In questo senso, Matteo Salvini è l’unico che finora abbia visto giusto. Andare a Pozzallo, mostrarsi presente sul territorio, ha accresciuto la sua affidabilità personale nel contrasto all’immigrazione clandestina, mostrando Renzi distante dai problemi della gente comune. Certo, una singola azione non basta da sé, come una sola rondine non fa primavera. Ma il metodo è quello giusto.

E' la credibilità la vera questione politica del centrodestra

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