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Il progresso del Dialogo Nazionale Libico sarà, a ragione, il fulcro del confronto odierno della Conferenza degli Amici della Libia che si terrà a Roma. Il dialogo – la possibilità per le persone di parlare francamente, apertamente, senza paura di rappresaglie – è proprio ciò che è stato soppresso sotto Gheddafi, ed è qualcosa a cui noi, come popolo, ci stiamo ancora abituando.

Ma il dialogo è l’unica opzione che abbiamo se la Libia intenderà sfruttare il proprio potenziale di nazione più prospera del Nord Africa, e di partner chiave per l’Italia su questioni che vanno dalla sicurezza energetica, all’immigrazione e alla diffusione della democrazia nel mondo arabo.
Lettori occasionali – e anche attenti – delle notizie europee potrebbero giungere alla conclusione che la Libia si trovi in uno stato di anarchia: attacchi armati contro il Congresso Nazionale Generale, proventi del petrolio in calo, insicurezza diffusa nel Sud del paese, e una bassa affluenza al voto per l’Assemblea costituente.

Ma consideriamo questo: ieri abbiamo organizzato con successo un evento a Derna, una città incubo associata quasi esclusivamente a Ansar al Sharia. Eppure centinaia di persone sono venute a esprimere il loro parere su temi che vanno dalla loro personale visione del futuro della Libia, alla sharia, alle buche nelle strade. Chiaramente c’è sete di dialogo, imbottigliata per tutti i 42 anni della dittatura.

L’evento è stato il secondo di un tour nazionale di Partecipazione e Impegno in trenta città libiche intrapreso dalla Commissione Preparatoria per il Dialogo Nazionale. Però, dando alle persone un forum non politico dove essere ascoltate e prese sul serio, facciamo più che cercare di raggiungere la catarsi dal passato: costruiamo consenso sul futuro.

Non vi è alcuna garanzia che il percorso di sviluppo per i paesi liberati dalla Primavera Araba corrisponderà a un qualunque precedente, per quanto possa essere confortante credere che vi siano modelli di democrazia. Perché, dopo tutto, la democrazia non è solo il ticchettio delle schede elettorali: è la conseguenza collettiva di milioni di interessi personali contrastanti che lavorano per l’unanimità.

In un Paese in cui uno tsunami di armi ha inondato il mercato, e vecchie e importanti identità – regionali, tribali, etniche – sono state soffocate per tanto tempo, non c’è da stupirsi che molte persone risolvano i loro conflitti ricorrendo alla forza bruta. Ciò non significa, però, che la Libia sia sull’orlo del caos o che i conflitti siano irrisolvibilmente complessi.

Ma fino a quando non verrà offerta a tutti l’opportunità e l’alternativa rappresentata dal dialogo, sarà difficile perorare la causa – alla comunità internazionale, e a noi stessi – che abbiamo un’idea singolare e collettiva sui legami che ci tengono insieme. Ecco perché ci sono solo due regole per la partecipazione al Dialogo Nazionale: accettare il principio di una Libia unificata, qualunque sia la sua forma, e lasciare i vostri fucili alla porta.

Durante il tour di Partecipazione e Impegno, chiederemo ai libici su chi ripongono la loro fiducia per rappresentarli alla Conferenza sul Dialogo Nazionale. Con il loro contributo, 300 delegati alla Conferenza, provenienti da uno spaccato della società quanto più ampio possibile, saranno incaricati della stesura di una Carta Nazionale.

La Carta Nazionale sarà un documento straordinario: una codificazione non di come le persone credono di dover essere governate, ma di chi credono di essere. Plasmato sulle voci di normali cittadini libici, coprirà quattro grandi aree: una visione unificante per il futuro del paese, cosa significa essere libico, i valori in cui crediamo, e le responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri, verso le nostre comunità, e verso il mondo.

Avviare un Paese da zero è estremamente doloroso, ma offre numerose opportunità. Una di queste è la possibilità di portare avanti un serio discorso su noi stessi. Dalla fine della guerra fredda, la storia politica in Occidente è stata guidata da politiche identitarie. In Libia, attraverso il Dialogo Nazionale, abbiamo la possibilità di risolvere contemporaneamente molte delle questioni con cui l’Occidente continuerà a scontrarsi.

Se riusciremo a raggiungere questo risultato, e allo stesso tempo a esorcizzare i fantasmi del passato regime, credo che presto la Libia otterrà davvero il posto che le spetta come nazione stabile, colta e prospera.

Fadeel Lamen, il Chairman della National Dialogue Preparatory Commission, è Nonresident Fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council, dove lavora come special advisor su Nordafrica e Medio Oriente. E’ stato inoltre advisor del National Transition Council lavorando sulle questioni relative alla transizione democratica in Medio Oriente, con focus sulla Libia. I suoi studi su Medio Oriente e politica estera americana sono stati pubblicati in arabo e inglese.

Il dialogo è l’unico modo che ha la Libia per superare il proprio passato

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