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Signore e signori benvenuti nella Terza Repubblica. Un mondo di meraviglie, sfavillante di stabilità e di benessere crapulone, perché si sa, quando alla guida del governo c’è sempre uno e solo quello, le cose vanno alla grande e il Paese se ne avvantaggia, non come negli anni bui di Draghi, Ciampi, Monti, gente estranea, messa lì a dispetto del popolo. L’elisir di lunga vita è qui, si chiama “premierato elettivo”. Come abbiamo fatto a non capirlo prima?

E nessuno faccia il disfattista domandando provocatoriamente se l’elisir non avrebbe dovuto recare l’etichetta del presidenzialismo all’americana o alla francese, agitato per anni dagli stessi che oggi plaudono alla soluzione premierale che ebbe precedenti solo in Israele (che però se ne liberò dopo tre legislature): con la Francia o con zio Sam, a noi basta che ci siam, dice in coro la maggioranza.

Evitiamo di aggiungere analisi nel merito dell’ intervento chirurgico che manomette il corpo della Costituzione con creatività degna dell’estetica dadaista di Tristan Tzara, un po’ per non passare anche noi per disfattisti, un po’ perché le pagine dei giornali dilagano di analisi nel merito, a cui abbiamo già dato contributi anche personali. Quel che impressiona, invece, è che circola da subito il pensiero preoccupato della maggioranza di trovare i voti per evitare il referendum popolare. Qui occorre chiarire subito come funziona la procedura costituzionale. La nostra è, infatti, la procedura complessa di una Costituzione “rigida” che prevede due diversi esiti ai fini della possibilità referendaria.

A fissare le regole è l’art.138 Cost. che stabilisce l’iter approvativo per la revisione obbligando ciascuna Camera a “due successive deliberazioni” con un intervallo di tre mesi l’una dall’altra. Nella seconda votazione ogni Camera dovrà approvare con la maggioranza assoluta dei componenti. Se andasse così il premierato elettivo di fattura meloniana sarebbe comunque esposto alla richiesta – entro tre mesi dalla pubblicazione della legge – di un referendum popolare su richiesta di un quinto dei deputati o senatori, o cinque Consigli Regionali o cinquecentomila firme di elettori. Per evitare il referendum nella seconda votazione la maggioranza richiesta per ciascuna delle Camere dovrà essere di due terzi.

Tradotto in soldoni occorrono 268 voti alla Camera e 134 al Senato che non sono in tasca alla maggioranza di governo. Di qui l’allarme e la ricerca di soccorsi per evitare l’impatto col giudizio del popolo. Allarme probabilmente giustificato se si guarda al referendum costituzionale nel recente passato: l’impallinamento delle grandi riforme di Berlusconi e poi di Renzi fu clamoroso e senza remissione di peccato. Ma ci sono altri due referendum, quello che confermò la riforma del titolo V e quello che accolse il taglio dei parlamentari, che hanno registrato un’accoglienza popolare che testimonia un andamento diverso.

Su X, il figlioletto di Twitter, si legge che il governo va alla ricerca di 45 soldati della legione straniera per far passare la riforma con la maggioranza rafforzata: secondo i miei conti ne occorrono di meno. Ma, senza fare facili ironie sui tempi eroici dello scouting berlusconiano con Razzi e Scilipoti folgorati sulla via di Arcore (anche perché ad Arcore non c’è più Lui), la domanda sarebbe: “Perché?”. Se si è così sicuri d’incontrare il favore del popolo con il presidente del Consiglio eletto da tutti, perché allora correre dietro all’ultimo voto parlamentare proveniente da famiglie aliene?

La lunga marcia è appena cominciata. Noi umani saremo destinati a vederne ancora tante. C’è da giurarci.

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