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Dalla “Introduzione” di Flavio Felice e Francesco Martini (curatori dell’edizione italiana del volume)

Nel contesto americano, dove, rispetto all’Europa,è più forte la tradizione liberale, il capitalismo gode comunque di un diffuso sostegno popolare e, in un’epoca nella quale si assiste a una crescita del ruolo del pubblico, non deve stupire il fiorire di studi e di ricerche volti a far riscoprire le virtù del sistema capitalista.

In questo ambito e, più in generale, sulla scia tracciata da Michael Novak e Charles Murray, i quali con The Spirit of Democratic Capitalism (1982) e Losing Ground (1984) hanno impostato il dibattito rispettivamente sulla moralità del capitalismo e sull’imperativo morale della riforma del welfare, si pone Arthur Brooks. Presidente dell’American Enterprise Institute (AEI) di Washington D.C. e noto analista economico negli Stati Uniti, Brooks si presenta al pubblico italiano con un manifesto morale del capitalismo in un’epoca decisiva per le sorti politiche ed economiche dell’Occidente. Il volume, pubblicato durante la campagna elettorale presidenziale del 2012, esce in italiano in versione riveduta e aggiornata con il titolo: La via della libertà (Rubbettino, 2014).

Secondo Novak, il quale fa un esplicito riferimento alla tradizione ordoliberale e all’economia sociale di mercato, nella versione tedesca, ma anche in quella italiana espressa dal pensiero di Sturzo, il capitalismo, a differenza del socialismo e di tanti altri modelli magnifici sul piano ideale, ma tragici nella loro versione reale, sarebbe l’unico sistema meritevole di essere implementato, per la semplice ragione che, mentre merita un «primo applauso» sulla capacità di produrre benessere e un secondo per la promozione delle libertà politiche, non pretende di riscuoterne un terzo sul versante morale e spirituale; in definitiva, non pretende di fondare un proprio sistema morale, quanto piuttosto è coniugabile con diverse visioni del mondo e dell’uomo. Tuttavia, il rifiuto di una simile pretesa non si risolve necessariamente nell’indifferentismo morale, in quanto sarebbe proprio tale flessibilità a porre le persone che operano nel sistema capitalistico in una posizione di ascolto e di confronto con le diverse prospettive antropologiche che finiscono per animare il sistema e configurarlo anche sul piano morale e spirituale: con riferimento alla distinzione operata da Röpke, Einaudi e Sturzo, non avremmo un unico sistema capitalistico, ma tanti quante sono le prospettive antropologiche con le quali esso si confronta.

Nonostante il 70% degli americani abbia fiducia nel sistema fondato sulla libera iniziativa, lo Stato continua a crescere per dimensioni e competenze. I sostenitori dell’economia di mercato non sembrano in grado di fermare questa deriva, che sta avvicinando gli Stati Uniti a uno statalismo in stile europeo. Ciò accade perché gli stessi cittadini che si dicono a favore del mercato e si lamentano magari dell’eccessivo prelievo fiscale si fanno allettare con facilità da promesse elettorali che si risolvono in una maggiore spesa pubblica e rinuncerebbero con fatica a un benefit acquisito da tempo o a una conveniente detrazione fiscale.

Per smuovere queste posizioni, innervate da interessi particolari, e rilanciare il sistema capitalista nell’ottica del bene comune, Brooks propone un’argomentazione eminentemente morale. Troppo spesso, infatti, i freddi argomenti statistici proposti dagli esperti di economia e dagli assertori del mercato non convincono il cuore della gente e offuscano l’autentica natura del capitalismo. Gli esseri umani sono intrinsecamente morali e tra i ragionamenti materialistici della libera iniziativa e gli argomenti moralistici a sostegno delle pur fallimentari politiche socialiste essi sono empaticamente portati a scegliere queste ultime.

Il capitalismo concorrenziale a tutt’oggi rimane l’unico sistema economico in grado di produrre ricchezza e di contribuire allo sviluppo dell’intera società, sostiene Brooks, ma solo con un discorso a forti tinte morali è possibile farlo riscoprire, così da convincere le persone a rinunciare ai propri piccoli tornaconti personali al fine di costruire una società ricca di opportunità per tutti.

Affinché diventi vincente, un’idea deve dunque prima conquistare il cuore della gente. Ciò può richiedere molto tempo. Secondo Brooks, è giunto il momento che gli assertori della libertà di impresa si facciano avanti e colgano ogni occasione disponibile per spiegare come il sistema capitalistico è coerente dal punto di vista non solo scientifico e materiale, ma anche e soprattutto morale. Nel fare ciò, l’Autore tratta diverse questioni politiche concrete, per le quali, accanto ai dati numerici, propone ragionamenti di carattere morale.

Il libero mercato, che meglio di ogni altro sistema garantisce giustizia e mobilità sociale, corrisponde alle preoccupazioni morali delle persone. È innegabile in effetti come l’assistenzialismo non giovi né all’animo umano né al tessuto sociale e, anzi, sia spesso capace solo di condurre verso una spirale di soffocamento dell’intraprendenza individuale e di dipendenza dallo Stato. Solo una società civile attiva e poliarchica si confà alla democrazia e serve il bene comune. La chiave di ciò è, per Brooks, il «successo conquistato», che, per mezzo di rischi e sacrifici, avvicina alla felicità e alla realizzazione personale molto di più di un welfare assistenzialista. Il sistema capitalistico, fondato su libertà, competizione e meritocrazia, esalta le individualità, produce equità di opportunità, aiuta gli svantaggiati, spinge le persone all’aiuto reciproco e le predispone alla carità.

Quale via per la libertà? Il nuovo saggio di Arthur Brooks

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