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La calma che domina nei mercati internazionali non deve ingannare i politici europei. I debiti sovrani dei Paesi dell’Eurozona costituiscono ancora una pericolosa trappola sulla strada di una ripresa sostenibile e duratura per il continente. Ne è convinto Domenico Lombardi, direttore del Dipartimento di Economia globale del think tank canadese Cigi (Centre for International Governance Innovation), ex consulente per istituzioni finanziarie multilaterali e membro del Financial Times Forum of Economists. In una conversazione con Formiche.net – avvenuta a margine del convegno “Handling sovereign debt crisis – A proposal”, tenuto lo scorso 28 gennaio presso l’Associazione Bancaria Italiana -, l’economista spiega perché la ripresa europea è ancora un miraggio.

Lombardi, lo “spread” tra titoli sovrani dei Paesi periferici e i Bund tedeschi è calato drasticamente. La crisi dell’Eurozona volge al termine?
Purtroppo non credo sia così. Le previsioni sulla crescita dei Paesi europei non sono incoraggianti. Almeno per il momento non lasciano intravvedere la possibilità che il debito pubblico accumulato sinora possa ridursi sensibilmente. Se il pil nominale non cresce in maniera vigorosa – e crescita reale e andamento dei prezzi non consentono di farci troppe illusioni in proposito – allora il rapporto “debito/pil” continuerà a salire. Né il risanamento delle finanze pubbliche, come si è dimostrato anche in questi anni di crisi, basta di per sé a ridurre l’indebitamento. Senza contare la profonda impopolarità di politiche di austerity che si rivelano sempre più insostenibili politicamente visti i risultati che hanno generato.

Perché la gravità della situazione europea viene considerata in calo da molti economisti?
Oltre all’impopolarità di politiche di austerity prolungate nel tempo e alle difficoltà ad attuare riforme strutturali che alimentino la crescita, direi che pesa un fattore storico-psicologico. Nonostante oggi il rapporto tra debito pubblico e pil stia raggiungendo in alcuni paesi della moneta unica i picchi più elevati da 200 anni, permane una certa ritrosia a considerare la situazione per quella che è. I paesi avanzati considerano l’affaticamento da debito come un problema da “paesi in via di sviluppo”. Un po’ di memoria storica, in questo momento, tornerebbe davvero utile.

Quali sono le differenze tra la crisi del Vecchio Continente e quelle di Stati Uniti e Giappone?
Negli Stati Uniti la ripresa è iniziata nel 2010 e si è andata progressivamente consolidando. Per l’Eurozona, il quadro è assai più complesso. In Grecia, appare ormai inevitabile una nuova ristrutturazione del debito dato che la sua consistenza ha superato il 170 per cento del Pil. Per gli altri Paesi si tratta di concepire strategie più aggressive di crescita che stabilizzino lo stock crescente di debito e, allo stesso tempo, individuino strumenti che contengano il problema del contagio nel caso i mercati ritengano il debito insostenibile per alcuni di essi. In tal senso, l’Italia ha un interesse strategico a partecipare al dibattito sui meccanismi di ristrutturazione del debito sovrano per evitare un’ondata di contagio nel caso un altro paese dell’Eurozona dovesse imboccare, suo malgrado, la strada della ristrutturazione.

C’è la possibilità che alcuni Stati non siano più in grado di ripagare i loro creditori?
Sta ai debitori sovrani e ai loro creditori valutare uno scenario del genere se necessario, non a me. Io mi limito a dire che gli effetti di questo choc avverso e indesiderato possono essere attutiti se la comunita’ internazionale si fornisse di regole e strumenti adeguati cosi’ da gestire lo scenario che lei ha descritto con tempismo e in maniera ordinata, in modo da contenere il contagio ad altri debitori sistemici, come, per esempio, l’Italia.
Le sfide attuali – hanno scritto di recente anche alcuni economisti considerati “mainstream”, come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff in una loro ricerca per il Fondo monetario internazionale – dovrebbero spingerci a mettere in conto possibili “ristrutturazioni” dei debiti sovrani.

Perché finora si è fallito?
Finora chi condivide questa lettura si è limitato a proporre un meccanismo di ristrutturazione del debito fondato su trattati internazionali, vincolante per l’Europa e la comunita’ internazionale. Questa, però, si è dimostrata una proposta politicamente troppo controversa per trattare un problema delicato come la gestione del debito sovrano, che rappresenta una classica prerogativa della sovranità nazionale.

Lei che soluzione immagina?
Non dico che sarà una passeggiata. Tuttavia insisto: è il momento di considerare nuovi approcci per migliorare la governance mondiale delle crisi da debito sovrano. Perché, per esempio, non lavorare all’istituzione di un forum internazionale, sulla scorta del già esistente Club di Parigi che oggi riunisce i soli creditori ufficiali, per favorire il dialogo tra creditori e debitori sovrani? Sarebbe un modo per promuovere discussioni, su base assolutamente volontaria, riguardo eventuali ristrutturazioni, contenendo choc e sorprese che altrimenti potranno tornare a choccare i mercati in futuro.

Può fare riferimento a una proposta concreta?
La settimana scorsa ho guidato una delegazione di esperti del mio Dipartimento, tra cui Richard Gitlin e Brett House, che hanno illustrato la loro proposta per un Sovereign Debt Forum al Fondo Monetario Internazionale. Nelle settimane passate, tale proposta è stata presentata nelle principali capitali europee e alla Bce. L’abbiamo illustrata durante questo convegno organizzato da Cigi e dall’Istituto Affari Internazionali e ospitato dall’Abi. Le posso solo dire che l’interesse riscontrato è stato ben superiore alle aspettative. Cigi pubblicherà questo studio per i prossimi spring meetings del Fmi previsti per la metà di aprile insieme ad altre ricerche su questo stesso tema.

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