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«Sono passati due decenni da quando la cortina di ferro è caduta, ma l’Europa post-comunista ha ancora un lungo cammino da fare, e il completamento automatico di Google lo sa»: comincia così un articolo del The Atlantic in cui si riprende un’analisi fatta da Randal Olson, ingegnere informatico Phd alla Michigan State University.

Nell’analisi Olson ha digitato sulla barra di ricerca di Google la domanda “Why is [country] so…?“, cioè “Perché [paese] è così…?”, studiando quale fosse la prima parola risultante in automatico a completamento della frase per tutti i paesi d’Europa.

L’autocomposizione di Google è fondata sulla quantità di un alto numero di query analoghe, ma ciò non significa che il dato sia assolutamente attendibile. Tuttavia molte delle domande uscite dalla ricerca, disegnano una ricostruzione credibile su quello che l’opinione internazionale pensa (o si chiede) di un dato Paese. Certo non è il caso della Francia, dove la composizione automatica restituisce la parola “gay” – per chiedersi la stupida domanda “Perché la Francia è così gay” – sulla quale nemmeno vale la pena di spendere ulteriori considerazioni (a volte la gente e i grandi numeri non sono affatto fonte di saggezza).

Invece per diversi paesi ex comunisti, come per esempio l’Ucraina, la ricerca ha restituito la parola “poor“, a completare la domanda “Why [Ukraine] is so poor?” (perché l’Ucraina è così povera): testimonianza che l’impressione degli utenti di Google sulle nazioni che compongono il blocco orientale europeo, è molto legata al forte divario con il resto del continente sui livelli di emancipazione socio economica – circostanza non di certo troppo alterata.

Per l’Italia il dato restituito – come spesso accade – non è motivo di lustro. Nella mappa si individua la parola “racist“, razzista, a chiedersi perché il nostro Paese è così razzista. Che ci piaccia o no, questo è ciò che pensa di noi gli altri, almeno come prima impressione, almeno come consumo immediato, almeno come questione generale – e di certo, generalizzante.

Da prendere con le molle, ovviamente: ma il dato dice che la principale domanda sul nostro Paese in giro per il mondo è questa: ancora più semplicemente, l’analisi sui grandi numeri, restituisce tale immagine dell’Italia e quindi dei suoi cittadini; insomma quello che passa di noi all’esterno – e all’estero.

(Ho provato a verificare personalmente: in realtà la mia autocomposizione ha dato come risultato la parola “dirty”, sporco. Non il massimo, ma meglio sporca che razzista – anche se a dire il vero, “racist” è sulla seconda riga, preceduta dall’avverbio “still”, ancora).

 

Razzista o sporca, questo è quello che gli utenti di Google pensano dell'Italia

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