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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli a Francesco Galietti apparsa su Italia Oggi.

Ogni giorno spiega agli investitori stranieri il circo Barnum della politica italiana. Pur avendo solo 31 anni, Francesco Galietti, torinese, perfettamente fluente in inglese e in tedesco, ha alle spalle un triennio al ministero del Tesoro, dal 2008 al 2011, che l’ha reso un osservatore interessante per molti, per manager bancari, di fondi di investimento, addetti commerciali di ambasciate, e di tutti coloro che, avendo comprato titoli del terzo debito mondiale, cioè il nostro, e vogliono sapere se gli interessi si pagheranno regolarmente. Era diventato uno dei Tremonti boys, Galietti, dopo aver lavorato due anni nello studio di tributarista del futuro superministro dell’Economia. Con la sua Policy Sonar (redatta solo in inglese) vende agli investitori stranieri «analisi di rischio politico regolatorio». «Mi sono messo a fare l’imprenditore intellettuale», ride al telefono.

Domanda. Si interessano a noi solo se hanno investito in titoli?
Risposta. Non solo. Oggi, chiunque sia interessato all’euro, non può non interessarsi all’Italia. Siamo un Paese che ha un debito in euro enorme, siamo troppo grossi, troppo ingombranti per ignorare cosa avvenga da queste parti.
D. E quanto è difficile spiegargli le nostre liturgie politiche?
R. Non poco. Chiarire a uno che sta nel Connecticut una certa presa di posizione dei Giovani turchi, piuttosto che qualche vicenda politico-tribale locale non è banale. Comunque molti di questi investitori hanno antenne locali, si servono anche di grandi banche oppure di “mercenari” come me.
D. Chiedono cosa, in particolare?
R. Hanno il loro calendario, spesso molto semplice: le date di rimborso dei Btp. E qualche giorno prima, vogliono sapere se si apre qualche linea di faglia nella maggioranza, se le alleanze sono pericolanti e così via. A differenza degli Italiani, c’è l’accettazione del rischio, che è messo in conto, però vogliono i dati necessari all’affronto. Per questo cercano l’informazione, pagandola.
D. Che lei gli dà…
R. Li aiuto a comporre il loro puzzle.
D. La difficoltà maggiore dove sta?
R. Che abbiamo elementi simili a molte economie occidentali, come la disaffezione popolare alla politica, un certo sentimento antieuropeista e antieurista, ma poi ci sono caratteri assolutamente originari.
D. Facciamo un esempio?
R. Parlo con americani per il quali il Congresso è fulcro del potere. E ai quali, talvolta, non è semplice spiegare che, da noi, non è così, che da almeno vent’anni il Parlamento è schiacciato dall’esecutivo e che questo, a sua volta, è condizionato dalle burocrazie. Spesso devo ammannire loro un bignamino storico politico: fine della Guerra Fredda, Mani pulite, una classe politica che si sfalda. Difficile far capire, per esempio, come molti personaggi odierni siano le terze linee di allora, e che non hanno conosciuto la job rotation cui la Dc e il Pci sottoponevano il loro personale politico, per cui certi problemi, semplicemente, non li hanno mai affrontati.
D. Interessa solo la grande politica?
R. No, ci sono quelli che vogliono sapere delle reti elettriche e della politica che si intraprendere o si intraprenderà. Quelli che vogliono sapere tutto della legislazione aeroportuale o, altri ancora, che puntano a municipalizzate in via di privatizzazione e per questo vogliono sapere tutto dei Patti di stabilità e dei municipi in maggiore difficoltà.
D. Cosa le chiedono di Matteo Renzi, per esempio?
R. Del premier capiscono lo stile assertivo, l’ambizione, vedono che non si sottrae allo scontro, che tiene botta e non arretra, che alza i toni. Capiscono che la sua forza propulsiva sta anche nel mettere il suo corpo a protezione di una certa precarietà della compagine governativa che, in alcuni, s’è trovata proiettata in un ministero dell’oggi al domani. La prima domanda che fanno è quando la luna miele di consenso, prevista all’inizio di ogni ciclo politico, finirà.
D. La seconda?
R. Se, una volta fatte le molte nomine di enti e società in scadenza nelle prossime settimane, i gruppi che soffiano nelle sue vele lo faranno ancora o se lo molleranno.
D. Terza questione?
R. Riguarda il semestre europeo, che coinciderà con un vuoto di potere: il rinnovo del Parlamento e della Commissione. In quel momento, il presidente europeo di turno avrà un ruolo assai importante. E, di conseguenza, sono interessati alle prossime elezioni europee, a quanto il Pd di Renzi potrà prendere più del 26% registrato alle precedenti, vero benchmark, perché non sfugge che sia andato a Palazzo Chigi senza elezione.
D. Altre curiosità?
R. Interessa molto il rapporto con B. Vedono che l’uomo di Arcore spesso corre in soccorso di un governo che ha una maggioranza più sottile di quella di Enrico Letta. Si domandano e chiedono se, per caso, il Cavaliere non abbia scelto proprio Renzi per la sua successione, nell’idea che sia l’unico in grado di condurre in porto alcune sue battaglie cosa che a lui, invece, non è riuscita.
D. Saranno un po’ sconcertati…
R. Un po’ sì. Perché hanno assistito ad anni di antiberlusconismo. E sanno che Renzi sta in un partito che ha combattuto quella battaglia. Sulla stessa base mi chiedono cosa sia successo a Repubblica, che di quel partito era la nave ammiraglia, e che invece ora sostiene Renzi, il quale è attaccato, per contro, da certe vecchie parrucche giacobine come Gustavo Zagrebelsky o Stefano Rodotà.
D. Ho capito, confusione totale. Ma quali dossier gli interessano di più?
R. Per esempio, il settore bancario. Vogliono sapere se ci sarà la pax con le fondazioni che controllano le banche, anche se sempre meno per effetto degli aumenti di capitale e la diluizione delle loro partecipazioni. Sono interessati perché sanno che quelle grandi banche hanno in pancia un bel po’ di debito italiano e che non se la passano benissimo.
D. Spulciano le trimestrali, dice?
R. Nooo, cercano di inquadrare gli scenari. Nel consulente cercano il cremlinologo, quello che un tempo sapeva tutto degli equilibri interni del Pcus. Per intendersi: guardano ai Giovanni Bazoli o ai Giuseppe Guzzetti come a dei politici più che a dei banchieri, vogliono sapere se vorranno decidere loro i soci negli aumenti di capitale prossimi venturi, un po’ come si diceva che Benedetto XVI avesse scelto Papa Bergoglio. E chi lasceranno entrare o chi no.
D. Tornando alla politica, della secessione veneta, via referendum online, le hanno chiesto?
R. No, e a dire il vero non gliene frega niente persino del nuovo “tanko”, ritrovato l’altro ieri con le nuove indagini. Questi ragionano del referendum della Scozia, il Veneto gli interesserà quando vedranno raccogliere un bel po’ di firme per un referendum vero.
D. E del dossier giustizia?
R. Hanno capito che quella amministrativa è complessa e conta. Sanno che è un attimo andare sul penale, sanno che i tempi di tutto sono lunghissimi. Ma chiedono se nella riforma del Titolo V ci potrà essere un ri-accentramento di alcuni poteri dalla periferia, fatto che talvolta si connette alla giustizia amministrativa.
D. Cosa ricorda della sua esperienza di Tremonti boy?
R. Importantissima. Un ruolo che mi consentiva di conoscere i punti di vista e le esperienze di grandi personaggi, ai quali non avrei mai avuto accesso. Non mi percepivano affatto come competitor, come insidia, e si aprivano. Ero un po’ una mascotte. E ho capito presto che molti non mi consideravano perché ero bello, alto e biondo, ma perché il Tesoro deteneva partecipazioni come Finmeccanica ed Eni.
D. Come era arrivato lì?
R. Stavo dimettendomi dallo Studio Tremonti e lui mi chiamò.
D. Dicendole?
R. Che cosa volessi andare a fare. E io gli risposi che puntavo ad altre esperienze, legate per esempio all’analisi politica. “Voglio diventare un po’ come Edward Luttwak”, aggiunsi.
D. E lui?
R. “Oh mio Dio”, esclamò. E poi mi disse che, se Forza Italia avesse vinto le elezioni, mi avrebbe offerto un posto da consigliere al ministero. Cosa che, avendo io 26 anni all’epoca, mi fece un po’ sorridere.
D. Beh, un bel provocatore, lei. E il professore?
R. Rispose che quando lui andò a Roma con Franco Reviglio aveva più o meno quell’età.

Così spiego l'Italia ai colossi esteri

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