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“Il bipolarismo in Italia non esiste”, dice a Formiche.net l’eurodeputato Giuseppe Gargani, che si inserisce nel dibattito avviato da queste colonne sugli scenari che si aprono dopo il dialogo “maggioritario” tra Matteo Renzi e Berlusconi. Il capodelegazione italiana al Parlamento europeo del Ppe auspica una lista comune, in occasione delle prossime elezioni di maggio, tra Udc, ex montiani, alfaniani e centristi di vario genere per dare corpo al progetto popolare.

Nel giorno in cui Renzi e Berlusconi tentano di consolidare i due grandi partiti con una nuova legge elettorale, qual è secondo lei la contromossa giusta dei Popolari?
C’è in questa storia un errore di fondo, che definirei di matrice culturale: immaginare che con una nuova legge o con un accordo si possano modificare orientamenti e strutture, precettando l’organizzazione della società. Il bipolarismo in Italia non esiste per cui la mossa renziana, per evitare il ricatto dei piccoli partiti, stride con la politica nel suo complesso: intesa come rispetto e rappresentanza della società.

E’ la ragione per cui “tifate” per il proporzionale?
Se un partito è piccolo vuole esistere, non ricattare alcuno. E se corrisponde ad una parte, anche piccola della società, merita di rappresentarla al meglio. Se il Popolarismo ha una sua storia lo deve alla propria appartenenza, come dimostra il prossimo centenario della nascita di don Luigi Sturzo. Non discuto dell’opportunità di incontrare o meno Berlusconi da parte del segretario del Pd, non mi interessa, ma vorrei stigmatizzare l’arroganza culturale di voler modificare la società italiana in cui far esistere solo due partiti.

C’è il rischio che l’elettorato moderato-popolare possa essere affascinato dal nuovo Pd distante dalla sinistra del sindacato?
Il Pd di Renzi francamente ancora non lo conosco, quello precedente era un partito che tentava di realizzare una fusione tra cattolici ed ex comunisti che però non è riuscita. Per prima cosa il sindaco di Firenze dovrebbe dire che cos’è il Pd, per poi passare a discutere di tendenza culturale e appartenenza.

Cosa non la convince di questo Pd?
Renzi intende annacquare l’appartenenza, per annunciare un movimentismo sociale che lui guida in qualità di leader carismatico. Potrà anche avere risultati nel breve periodo, ma in prospettiva non credo che andremmo avanti per molto. Non riuscirà a sedimentare nella società un orientamento preciso.

All’orizzonte è possibile una lista comune alle prossime europee tra popolari, Udc, ex montiani, alfaniani e centristi di varia natura oggi balcanizzati?
Me lo auguro fortemente, ed è il punto sul quale stiamo lavorando da tempo con l’Associazione Popolari europei per l’Italia. Perseguiamo un’unità culturale, organizzativa e metodologica, per ottenere un orientamento unitario a Bruxelles, dove il Pd si sta schierando con il Pse. Solo così potremo incidere nelle riforma e fare una nuova Europa, mettendo nell’angolo il rigore e puntando allo sviluppo.

Perché i Popolari sono ancora frammentati da un punto di vista del contenitore partitico?
Sul tema vedo ancora un po’ di sordità e miopìe, per cui credo che una legge elettorale che voglia balcanizzare la situazione compromettendo una rappresentatività adeguata, vada respinta. I collegi piccoli spezzettano l’Italia, farebbero vincere gli ultralocalismi e farebbero compiere al Paese un balzo indietro di duecento anni, mentre è stato proprio grazie alle forze politiche nazionali che si è alzato il livello culturale.

Quale il possibile leader dei Popolari italiani?
Noi insistiamo nel dire che i leaderismi così come sono, appariscenti, non corrispondono ad una sostanza culturale, per cui sono effimeri. Berlusconi è un’eccezione. Preferirei una collegialità: leader si diventa e non si nasce.

twitter@FDepalo

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