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Perché gli Usa nominano un inviato speciale per la Libia

Gli Stati Uniti avranno un inviato speciale per la Libia. L’ambasciatore Norland seguirà il dossier per prendere per mano il governo Dabaiba verso le elezioni di dicembre

L’ambasciatore americano in Libia, Richard Norland, è stato nominato (anche) inviato speciale degli Stati Uniti per la Libia. L’implementazione del ruolo di Norland arriva in un momento delicato. Il governo di Abdelhamid Dabaiba è sostenuto quasi dall’intera Comunità internazionale, perché ha un compito enorme: stabilizzare il paese e portarlo verso le elezioni che l’Onu – sotto la cui egida lavora il nuovo esecutivo di Tripoli – ha già fissato per il 24 dicembre. Se dal voto passerà il futuro della Libia, dal traghettatore Dabaiba passa la possibilità di arrivare a viverlo quel futuro. Se la Libia è un cantiere di un edificio da restaurare, Dabaiba sta allestendo le cruciali fasi preliminari, dalla struttura di ponteggio al consolidamento delle fondazioni.

Norland ha l’incarico tutt’altro che nascosto di portare il peso americano in questo processo in corso. A ciò serve un inviato speciale; a confermare che Washington ha interesse al dossier, seguendo l’esempio dell’Italia – che ha nominato per il ruolo l’ambasciatore Pasquale Ferrara – e della Francia. Con ogni probabilità gli Usa quell’interesse sul dossier lo legano non tanto a ragioni dirette, ma al fatto che percepiscano come il teatro libico sia frutto di potenziali destabilizzazioni.

D’altronde lo è stato e continua a esserlo: basta pensare che il territorio meridionale della Libia fa da base organizzativa a diversi gruppi armati (anche jihadisti) che attraversano la regione del Sahel. Una preoccupazione per gli Stati Uniti, aumentata da quanto successo in Ciad: i FACT, i ribelli che hanno ucciso il presidente Idriss Déby poche settime fa, sono nascosti nel Fezzan e partendo da lì hanno avviato azioni contro Ndjamena.

Lo stesso Norland aveva pubblicamente tracciato questo link, aggiungendo che dietro c’erano anche le attività dei contractor russi del Wagner Group, che addestrano già i ribelli libici di Bengasi e avrebbero assistito i combattenti del FACT. La presenza russa sul terreno è un altro dei fattori per cui gli Stati Uniti intendono aumentare il loro ruolo diplomatico sulla Libia. Per Washington è semplicemente inconcepibile che gli uomini di Mosca – che hanno aiutato le forze che volevano rovesciare il precedente governo Onu pur dando formale sostegno a quell’esecutivo dal seggio permanente al Consiglio di Sicurezza – siano in Libia. Affacciati sul Mediterraneo, davanti alle strutture strategiche Usa e Nato che dall’Italia guardano al Canale di Sicilia.

Norland “lavorerà a stretto contatto con i partner chiave per rafforzare gli sforzi per mantenere il processo politico sulla buona strada e garantire l’allontanamento di forze straniere dalla Libia”, spiega un comunicato del dipartimento di Stato. L’Italia è tra questi partner privilegiati, con il dossier Libia che è tenuto in primissimo piano dal governo di Roma e parte della costante interlocuzione con Washington.

Assieme all’Italia c’è l’Europa, che con la missione “Irini” ha un piede operativo sul dossier controllando (per conto dell’Onu) il rispetto dell’embargo, più volte violato da Russia, Emirati Arabi, Egitto e Turchia. Questi ultimi tre paesi partner degli Stati Uniti con cui l’amministrazione Biden ha un dialogo mirato alla stabilizzazione della regione Medio Oriente e Nord Africa; dialogo e stabilizzazione che sulla Libia trovano un importante test.

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