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Figlie uniche, quando il romanzo si tinge di rosa

L’universo di Figlie uniche, romanzo di esordio di Claudia Marin, giornalista del Quotidiano nazionale, contiene un microcosmo femminile. Un universo che è assolutamente intimo, fatto di gesti e di pensieri, di confessioni aspre e di desideri di dolcezza. La recensione

Tre donne, tre mondi separati che girano però uno nell’altro e uno per l’altro. Il sole attorno cui tutto ruota è Celeste, madre e nonna di Costanza e Sofia, che da lei si allontanano ogni giorno esauste, quasi oberate dal peso di quella sua personalità resa lucente e levigata da una vita straordinaria, per poi inesorabilmente tornare, attratte da quello splendore irresistibile quanto difficile da reggere, in un gioco di specchi e rinvii, e affacciarsi tutte e tre insieme sul ciglio della vita e dei suoi misteri.

L’universo di Figlie uniche, romanzo di esordio di Claudia Marin, giornalista del Quotidiano nazionale, contiene un microcosmo femminile. Un universo che è assolutamente intimo, fatto di gesti e di pensieri, di confessioni aspre e di desideri di dolcezza. Lo specchio a cui si è fatto cenno è il romanzo stesso. Una superficie in cui tre volti si sovrappongono ma in cui ogni lettrice (ma anche ogni lettore) può riconoscersi trovando qualcosa di sé, del suo presente e del suo passato, della difficoltà, grande, vitale, di ritagliarsi uno spazio autonomo nel mondo, in quello familiare e in quello esterno. Una dimensione in cui potersi esprimere per ciò che realmente si è e si vuole.

Figlie uniche è un romanzo individuale e corale allo stesso tempo. Ha al centro solitudini e necessità di carezze, di abbracci, di slanci che superino gli egoismi, le peculiarità del carattere e dei destini individuali. È narrato dallo sguardo di Costanza, quarantenne dei nostri giorni, una «donna difficile», come si direbbe, che non si fa sconti e vive fronteggiando ogni giorno i propri complessi e le proprie nevrosi. Dalla sua capacità e necessità di scrutare dentro sé stessa, nel senso e nel nonsenso, orientata verso una vita pienamente vissuta, libera dai fantasmi del passato e dalle complicazioni imposte dalla sua mente ipercritica, autoironica, perennemente alla ricerca di una perfezione che, nel momento in cui sembra raggiungibile, si sposta di un ulteriore centimetro e le sfugge.

Costanza vive nel cono d’ombra di sua madre, Celeste, splendente e forse intangibile, generosa ma in apparenza algida, concentrata unicamente su se stessa, sul suo passato difficile superato con una saldezza mentale quasi sovrumana, e sul suo lavoro di pittrice di successo. Costanza avrebbe tutto per essere altrettanto contenta di se stessa: la professione medica, il benessere finanziario, un marito devoto sempre presente nei momenti in cui c’è bisogno di lui. Ma il confronto, illogico ma ineluttabile, con la sua geniale e sfolgorante madre, la condiziona, la limita, la fa vivere con il freno a mano delle incertezze costantemente inserito.

Lo specchio è uno dei simboli più rilevanti del romanzo. Uno specchio allo stesso tempo lineare e stratificato, complesso, a livelli multipli, sovrapposti e contrapposti. Riflette un’immagine semplice, immediata, e contemporaneamente simbolica e metaforica. Sofia, la figlia di Costanza, è l’immagine della madre ma è al tempo stesso una proiezione anche di Celeste, sua nonna. È una sorta di ponte tibetano, estremamente complicato da attraversare, percorso da scosse e venti giovanili, da energie e cupezze, da intelligenza e da ingenuità. Grazie a questo ponte, Costanza e Celeste troveranno modo di avvicinarsi, gradualmente, esitanti, ognuna con il suo passo diversissimo, discordante, ognuna con i suoi testardissimi orgogli, con una sfida che volta dopo volta si rinnova.

Il romanzo spazia tra presente e passato con un costante gioco di rimandi che a sua volta ricalca le rifrazioni a cui si è fatto riferimento: i volti delle tre donne, delle loro tre generazioni e personalità, si scontrano, si respingono, si accostano come in un bacio finalmente tenero, senza orgogli, per poi respingersi e cercarsi di nuovo. I tre personaggi principali del romanzo sono distinti, diversi, in eterno conflitto, eppure, nel profondo, non hanno misura, non hanno senso e non hanno amore, se non una nell’altra e per l’altra.

Il romanzo genera un duplice processo: in primo luogo la personalità di Costanza, compressa tra orgogli e paure, tra la voglia di gettarsi nella vita come in una piscina, finalmente libera e coraggiosa, e sul fronte opposto, il timore dell’ignoto, dell’imponderabile, del non calcolabile. Ulteriore sfaccettatura, strettamente correlata alla prima, è la coesistenza delle tre protagoniste, tre esseri fieramente autonomi, e, come suggerisce il titolo, unici.

Il finale del romanzo, coerentemente aperto, offrirà un punto di vista per cogliere allo stesso tempo le singole parti e la figura d’insieme. Lasciando però spazio a ulteriori punti visuali, ad altre ottiche, tra cui, determinante, quella del lettore, chiamato non solo a scegliere un proprio personale punto di osservazione ma anche ad entrare in prima persona all’interno della cornice, portando con sé le proprie paure e i propri desideri più autentici, le proprie, irrinunciabili, unicità.



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