Alla vigilia della riunione Onu, la Francia rilancia l’ipotesi di un riconoscimento anticipato dello Stato di Palestina. L’Italia condivide l’obiettivo politico, ma insiste sulla necessità di un processo negoziale strutturato. Roma lavora con Parigi e Riad a una posizione comune, evitando passi simbolici privi di basi concrete
Alla vigilia della riunione delle Nazioni Unite sulla crisi mediorientale, la Francia ha rilanciato l’ipotesi di un riconoscimento dello Stato di Palestina. Il presidente Emmanuel Macron, co-organizzatore insieme all’Arabia Saudita della conferenza che sarà ospitata domani e dopodomani al Palazzo di Vetro, ha definito inaccettabile la situazione umanitaria a Gaza e indicato la nascita di uno Stato palestinese “demilitarizzato” che riconosca Israele come condizione per riattivare il processo di pace.
L’iniziativa francese si inserisce in un percorso avviato nei mesi scorsi. Una prima conferenza sul tema, prevista per giugno, sempre presso le Nazioni Unite, era stata rinviata a seguito di pressioni diplomatiche statunitensi e dell’inasprirsi delle tensioni regionali dopo gli attacchi aerei israeliani contro obiettivi iraniani. La proposta francese è ora legata a una nuova versione dell’incontro, che arriva mentre la furia di Israele su Gaza mostra gli effetti più devastanti, con una crisi umanitaria spaventosa.
La posizione italiana si muove su coordinate in parte sovrapponibili, ma con una diversa articolazione operativa. Roma condivide l’obiettivo politico di una soluzione a due Stati, ma sottolinea la necessità di un processo negoziale solido, accompagnato da garanzie istituzionali e condizioni di sicurezza verificate sul terreno. Secondo Palazzo Chigi, un riconoscimento anticipato, non ancorato a un accordo tra le parti, rischia di essere addirittura “controproducente”.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un’intervista a Repubblica, ha ribadito che l’Italia è favorevole alla creazione di uno Stato palestinese, ma non al suo riconoscimento “a monte di un processo per la sua costituzione”.
Una linea che Roma ha comunicato anche direttamente all’Eliseo, e che sarà al centro della posizione italiana nella riunione di domani — dove l’Italia sarà rappresentata dalla sottosegretaria agli Esteri, Maria Tripodi.
Nel frattempo, Roma ha disposto un nuovo pacchetto da 10 milioni di euro in aiuti umanitari, suddivisi tra l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) e la Croce Rossa internazionale, sottolineando la necessità di accompagnare le scelte politiche con un impegno concreto sul piano umanitario.
La visione italiana si struttura su tre direttrici principali. Anzitutto, la convinzione che il riconoscimento dello Stato di Palestina debba avvenire solo nell’ambito di un processo politico concreto e multilaterale, che preveda il riconoscimento reciproco tra Israele e Palestina. “Sono favorevolissima allo Stato di Palestina, ma non sono favorevole al suo riconoscimento a monte di un processo per la sua costituzione”, ha detto la premier. In altre parole: “Il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, potrebbe addirittura essere controproducente”. Intanto, 34 ex ambasciatori firmano una lettera (pubblicata da Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera), per chiedere a Meloni uno sforzo in avanti sulla Palestina.
In secondo luogo, la richiesta di affrontare una riforma dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, in un’ottica di maggiore trasparenza, efficienza e coordinamento. Infine, l’insistenza sul tema della sicurezza: ogni evoluzione diplomatica deve essere accompagnata da un impegno delle autorità palestinesi nella lotta contro il terrorismo, incarnato da Hamas e dai gruppi collegati, e nella stabilizzazione del territorio.
In questo quadro, l’Italia collabora con Francia e Arabia Saudita per arrivare a una formulazione condivisa che eviti irrigidimenti o atti unilaterali. Roma considera fondamentale che ogni passo sia fondato su basi istituzionali solide e coerenti con il contesto regionale.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in un’intervista ad Avvenire, ha aggiunto un piano ulteriore che riguarda Israele: “Se ci fosse qualcosa in grado di fermare Netanyahu, l’avremmo già fatto e deciso. Per ora non ascolta noi, non ascolta Macron, non ascolta Washington”. Ricordando che “dopo il pogrom” di Hamas che ha aperto l’attuale stagione di guerra, “il popolo ebraico sarà anche diviso, ma sulla guerra in gran parte sostiene il governo nel colpire ancora Hamas”, ha aggiunto: “L’unico modo per far vincere la pace fra Israele e Palestina è interrompere la guerra e tornare alla politica, alla diplomazia”.
Il ministro ha infine auspicato la ripresa degli aiuti alimentari attraverso il World Food Programme, e in particolare il programma Food for Gaza, come passo necessario per affrontare immediatamente l’emergenza umanitaria in atto. La questione sarà al centro anche delle attività che coinvolgeranno, sempre domani, Meloni, come co-presidente della conferenza dell’Onu sui sistemi alimentari, in programma ad Addis Abeba.