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Phisikk du role – Le Regioni al voto in assordante silenzio

Tra campagna elettorale in semiclandestinità, che pare interessare più il parentado che i cittadini, e un clima internazionale che rende ansiogena perfino l’informazione quotidiana, il voto regionale scivola fuori dalla lista delle priorità. E gli elettori vi si avvicinano con il passo lento di un autunno senza rito collettivo. La rubrica di Pino Pisicchio

Domenica 28 settembre (con la coda di lunedì 29) si apre con il voto regionale nelle Marche e in Val d’Aosta, il breve autunno elettorale a puntate. Seguirà la Calabria il 5 e 6 ottobre, poi la Toscana il 12 e 13 e, dulcis in fundo, Campania, Puglia e Veneto il 24 e 25 novembre. La prima considerazione che balza agli occhi è: “Ma era proprio così difficile raggruppare in un solo turno di election day questo spezzatino elettorale?”. Vero è che così la contabilità dei vincitori e vinti – che mediaticamente si manifesta solo col primo impatto (poniamo mente alla perdita per strada della memoria relativa ai risultati dei ballottaggi nei Comuni) – verrà così diluita, per impedire che appaia troppo grande la vittoria di un polo e la sconfitta dell’altro.

Ma i tempi in cui per un inciampo alle regionali il capo del governo si dimetteva sono lontani: è successo soltanto una volta ed era il 2000, premier D’Alema e andavano al voto 15 regioni. Dunque parecchio di più di un sondaggio elettorale sul gradimento del governo. La maggioranza di centro-sinistra ne perse 4 tra quelle già governate (Liguria, Lazio, Abruzzo e Calabria) e, anche se non si trattò in assoluto di una Caporetto, perché il computo finale fu di otto a sette in favore del centrodestra, il governo si dimise, lasciando il posto ad Amato e solo nel 2001 si andò al voto politico.

Oggi siamo lontani anni luce da quel contesto. A parte la caduta in desuetudine del trarre le conseguenze di una sconfitta elettorale, ancorché non politica ma amministrativa, che oggi non usa più, le previsioni della vigilia non annunciano scenari particolarmente divaricati. Infatti tra le regioni a statuto ordinario – la Valle d’Aosta fa storia a sé per il forte connotato autonomistico che la contraddistingue – le previsioni sono di una contabilità finale che mette nel conto spostamenti non così traumatici, che vedrebbero il centrosinistra riprendersi quel che ha già (Puglia, Campania e Toscana), e così almeno in parte il centrodestra (Veneto e Calabria), mentre l’unico bilico rilevante sarebbe quello marchigiano dove l’uscente di destra sopravanza solo di qualche incollatura nei sondaggi il candidato della sinistra.

Ma la curiosità sarà presto soddisfatta: lunedì 29 nel tardo pomeriggio. Anche nel caso di sconfitta per la destra non si tratterebbe di un tracollo per il governo che può sempre consolarsi dicendo: “È faccenda locale dove non rileva l’ascendente della Meloni. Vedrete alle politiche come cambia la musica”.

Ciò che colpisce, però,  è la sordina che è stata messa a questa tornata elettorale: già le sontuose kermesse elettorali con comizi, comitati elettorali, volantinaggi porta a porta, tifoserie, manifesti con sorrisi smaglianti del candidato affissi per qualche ora negli appositi cartelloni e attacchini in conflitto per la conquista degli spazi, tv private e tipografie al settimo cielo per guadagni fuori programma con santini e spot, pizze e birra per i galoppini la sera dopo le dure fatiche della propaganda, non usano più da un bel pezzo. Del resto l’indizione dei “comizi elettorali” – che è la formula burocratica con cui si rende noto al corpo elettorale quando si vota, dove ecc. – non sono più il colpo di pistola dello starter che dà il via alle danze, bensì un adempimento fastidioso di cui sbarazzarsi al più presto.

Ma se alla campagna elettorale in semiclandestinità, che sembra interessare solo i candidati e l’affettuosità familiare che li circonda nel parentado almeno fino al secondo grado (dunque non tantissimo…), si aggiunge l’impatto mediatico devastante con il grave clima internazionale che rende ansiogeno l’attingimento delle informazioni di ognuno dai notiziari, beh, si comprende come il voto regionale finisca per cadere fuori dalla short list delle priorità dei cittadini. Che, peraltro, vanno a votare seguendo un calmo stillicidio d’autunno. Senza che sia offerto agli elettori neanche il conforto di partecipare ad un rito collettivo più vasto, al centro dell’attenzione della politica.

Come andrà a finire? Quel che sopravvive del voto organizzato ci sarà. Ciò che mancherà sarà la partecipazione dei cittadini non irrigimentati in comitati elettorali, non coinvolti in parentele con i candidati e in militanze politiche motivate. Vale a dire la stragrande maggioranza degli italiani, soprattutto delle nuove generazioni. Ricordiamoci del voto nel Lazio del 2023: il 63% degli aventi diritto non andò a votare, dimodoché la rappresentanza venne affidata nelle mani di poco più di un terzo dei cittadini.


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