I cristiani, anche e forse soprattutto in politica, siano segno di contraddizione. L’alternativa sono il cedimento al dilagante nichilismo ed in definitiva, l’irrilevanza. Il commento di Gennaro Salzano
Da diversi mesi si nota tra vari movimenti cattolici italiani un certo fermento verso l’impegno politico diretto che, sebbene attraversato dalle consuete cautele, da forti ambiguità sulle sue definizioni, i suoi contorni e sugli strumenti da utilizzare, lascia comunque intravedere la possibilità di un rinnovato protagonismo che sarebbe certamente utile alla politica nazionale.
Incertezze comprensibili dopo un quarto di secolo dalla scomparsa del Ppi, ultima esperienza politica organizzata dai cattolici. Quello che però appare assente dal dibattito è la motivazione profonda, il clevage, direbbe uno scienziato politico, sul quale si vuole innestare questa rinnovata presenza politica di ispirazione cristiana.
Nella prima fase della nostra storia unitaria il clevage era chiaro: la ricomposizione della frattura tra cattolici e Stato dopo la rottura seguita alla breccia di Porta Pia. Nella seconda fase della nostra storia unitaria, quella repubblicana, si aggiunse l’ancoraggio dell’Italia al blocco occidentale, liberale e democratico. Su queste grandi linee di frattura fu possibile costruire una presenza politica importante, determinante, anzi, dei destini del Paese. Oggi non appare ancora chiaro, invece, quale vuole essere la faglia sociologica e politica su cui innestare una presenza. Eppure di certo non mancano le linee di frattura in un mondo che pare stia andando in mille pezzi. C’è ad esempio una palese divaricazione tra i garantiti e i non garantiti, con un costante quanto vertiginoso incremento della concentrazione di ricchezza in poche mani; c’è la fine degli equilibri geopolitici che hanno governato il mondo almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale; c’è il riemergere delle divaricazioni territoriali; c’è, ancora, la crisi profonda dei sistemi liberaldemocratici, sopraffatti proprio dalle concentrazioni di ricchezza che hanno essi stessi generato. Si assiste, cioè, ad una seria difficoltà dei sistemi democratici a mentenere non solo le loro promesse, ma anche a far funzionare gli strumenti loro propri, a cominciare dall’organizzazione della rappresentanza.
Una rinnovata presenza di una organizzazione politica cristianamente ispirata potrebbe assumere questa grave frattura come il terreno ideale per costruire le proprie ragioni, soprattutto a fronte di un’Europa che si sta interrogando sul suo futuro nella totale assenza del pensiero cattolico che ha animato, invece, i fondatori dell’Unione.
La post-democrazia, ormai chiaramente e costantemente richiamata da molti pensatori contemporanei per definire la condizione politica dell’Occidente, ad un quarto di secolo dalla sua teorizzazione da parte di Colin Crouch, pone la politica di fronte ad un bivio epocale: assecondare le spinte autoritarie che si manifestano anche nel Vecchio continente o spingere in avanti la conquista del sistema democratico caricandolo di nuove spinte etiche. Di più, ripiombare nei momenti più bui dei secoli passati o resistere alle pulsioni più violente dell’umanità per consolidare le conquiste di civiltà che sono state raggiunte soprattutto nell’ultimo secolo, dopo le due guerre mondiali.
Oggi appare infatti pensabile, ed anche praticabile di nuovo, quello che dopo il 1945 appariva addirittura indicibile e che ha portato a tutte le costruzioni sovranazionali ed internazionali che hanno caratterizzato la seconda parte del secolo breve.
Oggi l’Occidente assiste al massacro dei palestinesi senza muovere un dito; assiste alla costante riduzione della partecipazione elettorale vivendola quasi come una liberazione da un impiccio; persegue una costante riduzione dello Stato sociale, della protezione statuale dei meno garantiti, negando di fatto e anche di diritto l’asserita uguaglianza di tutti i cittadini nella fruizione dei diritti primari come salute o istruzione. Le istituzioni internazionali sono ridotte a soprammobili, peggio dell’antica e fallimentare Società delle Nazioni.
Tra queste ultime si segnala il momento di profonda crisi dell”Unione Europea. Bloccata per anni da veti incrociati, ha pagato con un forte freno alla costruzione unitaria l’ingresso dei Paesi dell’Est, che sono sì Europa, ma non sono “Occidente”, almeno non nel senso in cui lo abbiamo pensato, anche se non sempre praticato, nel secondo dopoguerra. La primazia dei processi democratici, dei contrappesi al potere esecutivo, la centralità delle assemblee elettive come luogo principe non solo della sovranità, ma, per i cristiani, della democrazia comunitaria, le funzioni dello Stato sociale come strumento di riduzione delle diseguaglianze e di riconoscimento di ciascun cittadino nella comunità statuale e anche comunitaria, sono tutte conquiste che sono fortemente messe in discussione da due fenomeni epocali: il primo di questi sono gli esiti di una globalizzazione che, se da un lato ha prodotto un riequlibrio della ricchezza a livello planetario, dall’altro ha causato la difficoltà per i Paesi occidentali, e per l’Europa in primis, di continuare a mantenere i livelli di spesa necessari al mantenimento delle promesse delle loro democrazie.
Il secondo è l’inaridimento delle radici culturali e spirituali cristiane su cui si è costruita la democrazia in Occidente. Il prorompere di una idea fortemente individualista della società, funzionale alla sostituzione del cittadino con il consumatore, ha portato alla incapacità da parte dell’Occidente di proporre un orizzonte etico al resto del mondo. L’unica reale tensione esistenziale dell’uomo occidentale di oggi è l’autogratificazione e quindi l’autogiustificazione etica, attraverso il successo economico e, quindi, l’accaparramento di beni. L’uguaglianza nella libertà di tutti gli uomini, che è stato il cuore del messaggio politico del cristianesimo, è ormai un’utopia che viene negata attraverso l’incapacità di relazionarsi al resto del mondo se non in maniera bellicista.
Un approccio che appare ormai del tutto irrealistico, atteso che la globalizzazione, voluta dal capitalismo euro-atlantico, ha consentito l’affacciarsi sulla scena mondiale di altre potenze economiche e anche militari che vedono proprio nel “Vecchio continente” l’antica potenza con cui regolare i conti del passato.
Se l’Europa si trova, dunque, di fronte alla necessità di ripensare la propria identità e il proprio ruolo nel mondo, appare decisamente velleitaria l’idea che questi obiettivi possano essere raggiunti attingendo a una antica identità di superpotenza economica, militare e, quindi, coloniale. Eppure questa appare l’unica via che l’attuale dirigenza europea riesce a concepire, sebbene votata all’insuccesso, in assenza di una adeguata tensione morale, spirituale e politica che possa dare all’Ue un orizzonte più ampio e soprattutto porla ancora come riferimento per il resto del mondo. Un riferimento che può trovare solo in una rinnovata identità democratica, magari corroborata dal successo di un reale approfondimento della dimensione comunitaria dell’Ue, la sua unica ragion d’essere.
In questa prospettiva si apre, dunque, lo spazio politico di un nuovo movimento politico cristianamente ispirato. Un soggetto che dovrebbe innanzitutto assumersi l’onere di pensare una piattaforma politico-programmatica che attarverso il disegno di una nuova organizzazione istituzionale dell’Unione, un welfare rinnovato, avanzato e unitario, un sistema fiscale equo che combatta le concentrazioni di ricchezza, un sistema di istruzione mirato alla creazione di una cittadinanza consapevole ed una capacità della stessa Unione di essere crocevia mondiale di incontri e dialogo, definisca la sua stessa identità di partito. Certo non sfugge che l’asserita crisi della cultura e della stessa spiritualità cristiana possa essere un freno a tale progetto, ma è altrettanto vero che nel Vecchio continente ancora forti sono presenze sociali e culturali che possono essere levatrici di un tale progetto, purché nessuno si faccia spaventare dalla prospettiva minoritaria e soprattutto dal conformismo nei confronti del pensiero dominante. I cristiani, anche e forse soprattutto in politica, siano insomma segno di contraddizione. L’alternativa sono il cedimento al dilagante nichilismo ed in definitiva, l’irrilevanza.