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E se tornasse il CoCom, ovvero il Comitato di coordinamento per i controlli multilaterali sulle esportazioni composto da 17 Stati il cui obiettivo era quello di impedire l’esportazione di materiali strategici ad alta tecnologia verso i Paesi del blocco socialista? Nato nel 1949 e chiuso nel 1994, si basava su un consensus informale, come ricorda Paolo Salvatori, ex direttore della divisione controproliferazione dell’Aise, nel libro Intelligence, quo vadis? (La Lepre Edizioni, 2024): il CoCom “aveva tra i suoi compiti principali l’elaborare una lista di prodotti e di tecnologie civili e militari da sottoporre a controllo o a embargo, a seconda del grado di importanza, implementando sistemi di controllo per evitare diversioni, triangolazioni o altro tipo di dirottamenti verso destinazioni proibite previste, le cosiddette proscribed countries”.

Lo scenario di ritorno del CoCom è uno dei tre citati in un rapporto realizzato da The Hague Centre for Strategic Studies assieme alla società di consulenza olandese Datenna, dal titolo “Protecting European AI-Related Innovations: Preventing Their Use in China’s Military Advancements”, commissionato dal ministero della Difesa olandese.

Dunque, dal blocco sovietico alla Cina, la cui rapida modernizzazione militare ha generato preoccupazioni a livello globale. Il Partito comunista cinese, infatti, punta alla leadership nelle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale con importanti implicazioni militari. E se l’equilibrio del potere militare nell’Indo-Pacifico dovesse pendere a favore della Cina, potrebbero verificarsi conseguenze globali, data la dipendenza della sicurezza dell’Asia orientale e dell’Europa dalla potenza militare degli Stati Uniti. Questa è la premessa dei ricercatori.

Per affrontare questa sfida, il rapporto individua tre possibili scenari per l’Europa nel definire il futuro dei controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate verso la Cina: un’espansione dell’attuale mosaico normativo, la creazione di una “Fortezza Europa” e un ritorno al modello del CoCom.

Il primo scenario prevede una proliferazione di restrizioni unilaterali e plurilaterali, con gli Stati Uniti che continuano a esercitare pressioni sugli alleati affinché adottino misure sempre più stringenti sui trasferimenti tecnologici. Tuttavia, senza un coordinamento chiaro tra i Paesi europei, il rischio è che le normative rimangano frammentarie, lasciando spazi di manovra per triangolazioni e acquisizioni indirette da parte della Cina.

Nel secondo scenario, l’Unione europea prende l’iniziativa e armonizza le proprie politiche di controllo sulle esportazioni, sugli investimenti diretti esteri e sulla sicurezza delle collaborazioni accademiche. Questo permetterebbe una maggiore autonomia decisionale rispetto agli Stati Uniti, riducendo il rischio di sanzioni extraterritoriali, ma potrebbe anche esporre l’Europa a ritorsioni cinesi, come limitazioni sulle esportazioni di materie prime critiche.

Il terzo scenario, il più radicale, vedrebbe la nascita di un nuovo CoCom, una coalizione internazionale di Paesi tecnologicamente avanzati – dagli Stati Uniti all’Europa, fino ai partner asiatici come Giappone e Corea del Sud – per impedire alla Cina di colmare il divario tecnologico-militare. Questa ipotesi, indicata anche nello Strategic Competition Act of 2021 approvato dal Congresso americano quattro anni fa, garantirebbe un approccio coerente e coordinato, ma potrebbe anche innescare una reazione dura da parte di Pechino, con conseguenze economiche rilevanti. Ma non solo: durante la Guerra Fredda, il CoCom monitorava anche il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecniche attraverso scambi accademici e collaborazioni di ricerca. Oggi, un meccanismo simile potrebbe includere restrizioni più mirate sulla cooperazione universitaria tra Europa e Cina, in particolare nei settori legati all’intelligenza artificiale, ai semiconduttori avanzati e alla robotica, scrivono gli esperti sottolineando come la “fusione militare-civile” promossa dal Partito comunista cinese renda quasi impossibile separare le applicazioni civili da quelle militari. In questo contesto, un nuovo CoCom potrebbe prevedere: liste di atenei e istituti di ricerca “proscritti” con cui limitare o vietare collaborazioni, come già avviene con le blacklist degli Stati Uniti; screening rafforzato sui dottorandi e ricercatori cinesi in discipline ad alto rischio, con maggiore coordinamento tra gli Stati membri dell’Unione europea; condizioni più stringenti per i finanziamenti ai progetti congiunti con istituzioni cinesi, per evitare il trasferimento involontario di tecnologie sensibili; maggiori controlli sulle pubblicazioni scientifiche per prevenire la diffusione di innovazioni che potrebbero essere utilizzate per scopi militari dalla Cina.

Indipendentemente dallo scenario che prevarrà, il rapporto sottolinea la necessità per l’Europa di sviluppare una propria base di conoscenze indipendente sulle tecnologie critiche, rafforzando le capacità di analisi e monitoraggio degli investimenti e delle collaborazioni con la Cina. Solo così i paesi europei potranno negoziare da una posizione di forza, evitando di dover subire passivamente le decisioni di Washington o le pressioni di Pechino.

Dall’Urss alla Cina. E se tornasse il CoCom per proteggere le tecnologie dell’IA?

Un rapporto di Hcss e Datenna analizza il pericolo che le innovazioni europee finiscano per rafforzare l’apparato militare cinese e propone tre scenari: il rafforzamento delle attuali restrizioni, una strategia autonoma europea o il ritorno di un meccanismo simile al CoCom della Guerra Fredda. Le università europee sono un punto critico

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