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Dario Franceschini è uno dei pochi politici – ovviamente figlio e prodotto della Prima Repubblica – che hanno la capacità e l’intelligenza di leggere le dinamiche della società e, al contempo, sanno anche anticipare quello che concretamente capiterà. Ora, e per fermarsi alle ultime riflessioni avanzate recentemente del leader democratico, non possiamo non affrontare almeno due temi.

In primo luogo Franceschini ha perfettamente compreso qual è il profilo e la natura dell’attuale coalizione di sinistra e progressista di cui è un autorevole e qualificato protagonista. Si tratta, al di là di ogni polemica politica o culturale, di una alleanza fortemente caratterizzata sotto il profilo ideologico e culturale e che, con lo scorrere del tempo, è profondamente cambiata rispetto al centro sinistra originale. Sia quello nato con l’Ulivo nel 1996 e sia quello decollato dopo la nascita del Pd nel lontano 2007. Una coalizione che vede nei suoi azionisti principali – e cioè la sinistra radicale della Schlein, la sinistra populista dei 5 Stelle e la sinistra ideologica del duo Fratoianni/ Bonelli – i veri ed autentici protagonisti politici, culturali, sociali. Quelli cioè, per dirla con termini ancora più chiari, che concretamente dettano l’agenda politica del cosiddetto “campo largo”. Una realtà che è perfettamente chiara a Franceschini e che lo porta a dire che l’obiettivo di questa coalizione non può che essere quello di ottenere il maggior consenso possibile di tutti coloro che si riconoscono in questo campo. Seppur nelle sue multiformi e variegate espressioni.

In secondo luogo il ruolo del Centro o di un candidarlo cosiddetto “moderato” alla guida della coalizione di sinistra. E anche su questo versante Franceschini ha fornito una spiegazione politicamente razionale. E cioè, sostiene, è perfettamente inutile che un “moderato” sia alla guida di una coalizione che è fortemente radicalizzata e che solo accentuando questo profilo può essere competitiva con il centro destra di governo. E quindi, e di conseguenza, aggiungo io, forse si tratta di prendere in considerazione la tesi – che ormai molti sostengono – che i cosiddetti centristi, i moderati o comunque tutti coloro che non si riconoscono nel campo della sinistra radicale e massimalista difficilmente possono essere riconducibili al progetto del “campo largo”. Si tratta, cioè, di un’area politica, culturale e sociale – quella centrista e moderata seppur intesa nella sua pluralità – che non potrà che guardare altrove. O in un progetto come quello di Azione di Calenda per un polo centrista e riformista autonomo oppure condividendo direttamente la prospettiva politica di Forza Italia per rafforzare e qualificare l’alleanza di governo partendo, però, da posizioni più centriste.

Comunque sia, e al di là di qualsiasi altra valutazione politica, è indubbio che la riflessione di Dario Franceschini ha avuto il merito – e come sempre – di fare chiarezza all’interno della coalizione della sinistra progressista e, al contempo, di dare anche un contributo, altrettanto coraggioso e forse anche controcorrente, sul ruolo e sulla funzione di un Centro moderato e riformista nella cittadella politica contemporanea. A conferma, e lo dico senza alcun pregiudizio o preconcetto, che la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente formatasi nella prima repubblica continua ad avere una marcia in più, come si suol dire. Sul terreno della preparazione, della formazione, dell’autorevolezza e, in ultima analisi, della qualità e della levatura. Politica, culturale e istituzionale.

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