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C’è un elemento centrale che spesso viene lasciato in secondo piano quando si parla della Milano Fashion Week. Si fa il pieno di dati, statistiche, impatti potenziali, impatti stimati, impatti rilevati, ma è difficile che si pensi ad un elemento importante e centrale: si tratta di un momento culturale estremamente importante in cui un’intera città è caratterizzata dalla presenza di produzioni (beni, ma anche e soprattutto servizi) creative, a trazione privata.

Quanto rilevi il settore della moda per l’economia nazionale è chiaro pressoché a tutti. Secondo i dati di Cassa Depositi e Prestiti di novembre 2024, il settore, nel suo complesso, partecipa per il 5% al Pil nazionale, occupando più di 1,2 milioni di addetti e sviluppando un valore aggiunto di circa 75 miliardi di euro. Per rendere l’idea, ogni 20 euro prodotti dal Paese, uno di questi è riconducibile alla moda.

Le dimensioni economiche, per quanto rilevanti, raccontano soltanto una parte. Sempre CdP afferma un ulteriore elemento centrale quando si parla di moda: l’Italia rappresenta per il settore il primo produttore mondiale.

Questo posizionamento internazionale, se da un lato rafforza la valenza globale del nostro Paese nel mondo, dall’altro determina una maggiore sensibilità del nostro sistema industriale alle dinamiche geopolitiche e alle tendenze internazionali, imponendo quindi alla nostra politica, e alla nostra industria, di avere una visione strategica estesa.

È in questo scenario che va analizzata la Milano Fashion Week Women 2025 di settembre 2025: una settimana che si stima potrà generare un indotto totale pari a 239 milioni di euro tra consumi turistici e acquisti.

Ancora una volta, è importante introdurre queste cifre in una riflessione più ampia. Creata e organizzata anche con lo scopo di contrastare gli effetti negativi che proprio le condizioni geopolitiche e un generale calo della domanda di lusso in Cina hanno generato, l’edizione della Milano Fashion Week di fine settembre propone un palinsesto di circa 170 eventi, tra sfilate fisiche, sfilate digitali, eventi e presentazioni. Un programma così fitto da ricordare le cifre di un’altra manifestazione italiana, quella della Capitale Italiana della Cultura.

Il parallelismo è calzante: entrambe si sviluppano secondo una logica fortemente territoriale; entrambe ricorrono in modo importante alla dimensione dell’evento; entrambe ambiscono ad attrarre una platea internazionale; entrambe, infine, sono incentrate su una produzione culturale e creativa.

La differenza, però, è che mentre la Capitale Italiana della Cultura si sviluppa secondo una motrice prevalentemente pubblica, la Milano Fashion Week ha una trazione privata, e questo è un dettaglio che ha delle implicazioni sia sotto il profilo concettuale sia sotto il profilo concreto.

Prima tra tutte l’evidenza che la Milano Fashion Week ha l’obiettivo di “incrementare le vendite”, con un impatto che non si esaurisce quindi con la scadenza finale dell’evento, ma che perdura anche nei mesi successivi, fino alla prossima week, durante la quale è già stimato le cifre coinvolte saranno ancora più alte.

Malgrado sia scientificamente inesatto paragonare le due manifestazioni, le esperienze della Fashion Week dovrebbero senza dubbio indurre una riflessione programmatica più ampia. Oggi, candidarsi a Capitale Italiana della Cultura implica, principalmente, cercare di valorizzare il proprio territorio in una logica turistica e amministrativa, facendo convergere all’interno di un’unica manifestazione una serie di trasferimenti pubblici verso le municipalità coinvolte, cercando di coniugare gli effetti potenzialmente ascrivibili a tali investimenti pubblici con una maggiore spesa privata di tipo prevalentemente turistico.

La riflessione che tuttavia potrebbe essere utile implementare è molto semplice: piuttosto che celebrare esclusivamente il patrimonio, non sarebbe più efficace sviluppare un programma pluriennale di tipo industriale che, anche in occasione della Capitale Italiana della Cultura, possa presentare al mondo delle eccellenze creative italiane, generando degli effetti sui consumi sia domestici che sull’export?

Pur non potendo competere con il primato della moda, esistono molteplici eccellenze italiane in ambito culturale e creativo: il gaming, l’arte contemporanea, la valorizzazione digitale dell’archeologia, alcune industrie dell’indotto cinematografico, il design, l’arredo, le produzioni artigianali.

Celebrare il patrimonio è essenziale per il nostro Paese: è per il nostro Patrimonio culturale che l’Italia ha nel mondo un ruolo ben più importante delle proprie dimensioni geografiche. Ma è necessario che il nostro Paese inizi anche a valorizzare realmente le produzioni contemporanee, non considerandole come una dimensione separata semplicemente perché rispondono ad altri dicasteri, ma comprendendo che queste dimensioni non sono solo legate da una logica concettuale, ma sono profondamente intrecciate anche sotto il profilo industriale e di sviluppo territoriale.

Economia e cultura, al di là delle cifre. L'esempio della Milano Fashion Week

L’edizione della Milano Fashion Week di fine settembre propone un palinsesto di circa 170 eventi, tra sfilate fisiche, sfilate digitali, eventi e presentazioni. Un programma così fitto da ricordare le cifre di un’altra manifestazione italiana, quella della Capitale Italiana della Cultura. E perché non prendere, allora, ispirazione? La riflessione di Stefano Monti

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