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Il concetto di Autonomia Strategica, tradizionalmente associata ai settori come difesa ed energia, per l’Unione Europea è da declinarsi in una pluralità di sfumature, abbracciando dimensioni complementari come quella digitale. Tra le cosiddette “tecnologie emergenti e dirompenti”, l’Intelligenza Artificiale possiede potenzialità di applicazione a duplice uso (civile e militare) e senza precedenti che la rendono particolarmente appetibile non solo per la sovranità tecnologica ma anche per la sicurezza e resilienza dell’Unione. In questo settore, allora, è chiaro come “autonomia” non si traduca nel perseguimento di una cieca e chiusa autarchia bensì nella ricerca del giusto equilibrio tra capacità europee e interdipendenza con partner affidabili, sempre considerando la necessità di astrarsi dalla dipendenza da Cina e Usa e di riposizionarsi nello scacchiere della corsa all’AI proponendo un modello inedito: quello del “leader responsabile”.

Guidare l’innovazione con responsabilità

La soluzione che l’UE cerca di frapporre a questa sfida è costituita da un mix di sviluppo normativo, prospettive industriali, opportunità di formazione e finanziamento per trasformare l’Europa in un hub globale per l’Intelligenza Artificiale. Cuore della strategia europea è infatti l’AI Act: approvato nel 2024, è la prima legislazione vincolante al mondo interamente dedicata all’intelligenza artificiale e mira a regolare i sistemi commercializzati a livello comunitario secondo un approccio risk-based il quale assicura che settori a rischio “alto” come sanità, infrastrutture critiche, giustizia e servizi essenziali soddisfino obblighi stringenti di qualità, trasparenza e oversight umano. La struttura di governance, che prevede una Notifying Authority e di uffici comuni responsabili della supervisione e conformità, distingue inoltre l’approccio europeo da quello statunitense, improntato, invece, ad un sistema normativo più flessibile e decentrato, meno prono ad accettare il trade off tra regulation e innovation e che pone maggiore enfasi sul volontarismo e sugli incentivi al privato. L’ecosistema auspicato a livello comunitario assume allora la forma di una “regulatory sandbox” in cui imprese e startup possono sperimentare in un contesto controllato e sicuro.

Costruire le capacità europee

La dimensione industriale del “continente dell’AI” che l’Ue mira a diventare è invece protagonista del piano d’azione “AI Continent Action Plan”, presentato dalla Commissione lo scorso aprile e che prevede, sulla base dell’Iniziativa InvestAI, la mobilitazione di 200 miliardi di euro per investimenti in AI. L’eccellenza europea passerebbe allora dalla creazione di tredici AI Factories e cinque Gigafactories dedicate all’addestramento di modelli di nuova generazione e dotate di ingenti capacità computazionali. Lo scorso 5 settembre è ufficialmente entrata nella fase operativa IT4LIA o “Italian AI Factory”, la piattaforma tutta italiana parte della rete europea che mira a diffondere capacità e risorse di calcolo, fungendo da veri e propri clusters nel campo dell’AI.

Dati, venture capital e competitività globale

Nel concreto, però, l’Europa sembra arrancare nella corsa all’innovazione e nonostante un alto livello di istruzione e la presenza di eccellenze, la rigidità del contesto normativo e la minore propensione degli investitori a rischiare su idee innovative rispetto agli enormi venture capital cinesi o americani fanno dell’Ue un esportatore di principi normativi e un importatore di tecnologia. Un esempio della faticosa opera di inseguimento europea riguarda il potenziale in termini di dati: se la Cina con il suo lassismo normativo in materia di privacy e gli Usa con il loro mercato integrato e l’ infrastruttura di big tech globale possono contare su ingenti bacini di dati, l’Ue intende colmare il gap sviluppando “Data Spaces” nei settori strategici della sanità, logistica e energia per addestrare modelli avanzati pur garantendo accesso sicuro e trasparenza delle risorse interne. Sebbene, inoltre, i supercomputer europei, come l’italiano HPC6, primeggino, durante la conferenza dedicata al follow-up ad un anno del rapporto Draghi tenutasi lo scorso 16 settembre proprio l’ex Presidente della Bce ha sollevato perplessità circa il reale peso dell’innovazione europea a livello globale. Se gli Usa e la Cina, infatti, nel 2024 hanno sviluppato rispettivamente 40 e 15  “foundation models” (modelli di IA pre-addestrati su vastissime quantità di dati e spina dorsale dell’IA generativa), l’Europa ne ha prodotti solo tre.

Imperativo accelerare

Ulteriore questione chiave è quella dei semiconduttori, essenziali per le potenzalità di calcolo alla base dell’IA. L’Ue ha cercato di inserirsi in una filiera in cui nessuno è davvero padrone e a reagire al primato progettuale americano e a quello manifatturiero cinese con il Chips Act, piano che prevede investimenti oltre i 43 miliardi di euro per aumentare la capacità produttiva europea al 20% del mercato globale entro il 2030. Il regolamento, in vigore dal 2023, dovrà essere revisionato a fine 2026 e la Commissione ha aperto ad inizio settembre una consultazione pubblica per rivederne il contenuto, dal momento che la produzione dell’Europa ad oggi ammonta ancora al 10% circa di quella globale.

Benché l’Ue mostri difficoltà a competere nella feroce arena dell’Intelligenza artificiale, il suo approccio inedito, a cavallo tra rispetto dei principi e spinta all’innovazione rivela un potenziale unico e strategico. Gli sforzi attuati finora, in prospettiva mirano certamente a colmare un divario tecnologico, ma anche a costruire un ecosistema integrato e sicuro che combina innovazione, sovranità tecnologica e resilienza strategica attraverso un approccio di sistema, che assicura coerenza tra tecnologie emergenti e priorità di difesa e autonomia. L’Unione Europea si pone allora come promotrice di una leadership responsabile ed orientata, frapponendo alla competizione pura una formula che bilancia interesse strategico, sviluppo delle competenze, attenzione ai valori. In un contesto globale in rapida evoluzione, la sfida sarà saper anticipare le traiettorie del cambiamento, coniugando prontezza, resilienza e responsabilità e non inseguendo bensì tracciando una propria e autonoma traiettoria targata Ue.

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