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Il presidente russo, Vladimir Putin, nel suo primo viaggio al di fuori dell’ex Unione Sovietica dall’inizio della guerra in Ucraina, ha scelto di visitare la Cina in occasione dei due giorni con cui il leader locale Xi Jinping ha celebrato il decennio dell’iniziativa cinese Belt and Road (Bri). Questa decisione ha sottolineato la crescente dipendenza di Mosca da Pechino per il commercio e il sostegno politico, nel tentativo di aggirare le sanzioni occidentali.

L’attesissimo viaggio ha anche portato l’attenzione su questioni geopolitiche più ampie, in particolare sulla crisi in Medio Oriente, dove Washington è alle prese con la mancanza di sostegno nel mondo arabo per l’appoggio a Israele.

In una dimensione in cui la Cina, insieme alla Russia, traggono vantaggio dalla narrazione che mette in evidenza le difficoltà degli Stati Uniti, è importante notare che, nella realtà dei fatti, l’intera iniziativa diplomatica relativa alla crisi è guidata dal segretario di Stato statunitense, Antony Blinken.

Durante un incontro bilaterale a margine della visita, Putin ha sottolineato la necessità di uno stretto coordinamento della politica estera sino-russa per affrontare le attuali difficili circostanze. Un sentimento a cui ha fatto eco il leader cinese Xi, che ha elogiato il loro “stretto ed efficace coordinamento strategico”.

Di Russia e Cina, Formiche.net ha parlato con Sergey Radchenko, Wilson E. Schmidt Distinguished Professor alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies. Radchenko è uno dei massimi esperti delle relazioni sino-russe, che definisce di amore-odio. Era in Italia per una lezione organizzata alla John Cabot University da Enrico Fardella (promotore del progetto China Med e docente all’Università di Napoli L’Orientale).

“Sin dalla morte di Stalin nel 1953, c’era una forte rivalità per la leadership tra Mosca e Pechino: i cinesi cercavano di stabilire la direzione strategica del campo socialista; i leader sovietici resistevano alle interferenze di Pechino. Questa rivalità si è rivelata fatale per l’alleanza sino-sovietica, che si è sgretolata negli anni Sessanta con molta acrimonia, portando a tempo debito a un conflitto militare tra Cina e Russia. Il confronto sino-sovietico è proseguito fino agli anni ’80 e la principale lezione che le due parti ne hanno tratto è che è nel loro interesse avere buone relazioni, perché in caso contrario terzi (ad esempio gli Stati Uniti) ne approfittano per metterle l’una contro l’altra”.

Per Radchenko, questo consenso politico a Pechino e Mosca sull’opportunità di avere buoni rapporti è qualcosa che va oltre Putin e Xi, e probabilmente rimarrà. “Naturalmente, oggi i ruoli si sono invertiti ed è soprattutto Mosca a svolgere il ruolo di junior partner nelle relazioni. Come la Cina sotto Mao, anche la Russia sotto Putin sta cercando di stabilire la direzione strategica generale delle relazioni; i cinesi sono più esitanti, perché hanno più da perdere di Putin”. La durata di questa relazione dipenderà dalla disponibilità cinese ad assecondare le ambizioni politiche di Putin e dalla volontà della Russia di accettare il ruolo di parente povero della Cina (o addirittura di appendice delle risorse).

Cosa aspettarsi per il futuro? Dove oscillerà il bilanciamento di potere? “Credo che il fatto che l’attuale relazione tra Cina e Russia non sia esplicitamente ideologica contribuisca alla sua forza. Negli anni Cinquanta, l’alleanza si è rivelata fragile proprio perché c’era una dottrina condivisa, e una dottrina condivisa richiede un’unica fonte di autorità per interpretarla. Mosca rivendicava questo diritto e i cinesi se ne risentivano. Oggi, tuttavia, Cina e Russia non sono in un’alleanza formale. Sono allineati, il che significa che i loro interessi si sovrappongono sostanzialmente, ma quando divergono (ad esempio, nell’approccio della Russia alla disputa sul confine sino-indiano), le due parti possono semplicemente rispettare educatamente la posizione dell’altra senza entrare in conflitto diretto”.

Un altro macro-tema, utile anche per la descrizione in generale del rapporti, è l’Ucraina: cosa vuole Pechino? “L’interesse di Xi Jinping, a mio avviso, è quello di avere una situazione di stallo in Ucraina, molto simile a quella della guerra di Corea (1950-53). Questo perché un simile scenario rende la Russia ancora più dipendente dalla Cina dal punto di vista economico e politico, senza scatenare una più ampia conflagrazione regionale, che sarebbe dannosa per gli interessi nazionali della Cina”.

La Cina non è interessata a una vittoria definitiva della Russia, dunque, ma non è nemmeno interessata a vedere Putin sconfitto, perché la sconfitta della Russia in Ucraina rafforzerebbe l’Occidente, contribuendo così alla situazione della Cina. “Pertanto – continua Radchenko, che sarà presto in edicola con un nuovo libro – una situazione di stallo è la soluzione migliore dal punto di vista di Pechino. È possibile che la situazione si stia muovendo nella direzione desiderata (per quanto riguarda i cinesi)”.

Cina e Russia sono allineate, ma Mosca è junior partner. Conversazione con Radchenko

Il professore alla Sais della Johns Hopkins ragiona con Formiche.net sul valore (presente, passato, futuro) delle relazioni sino-russe. Putin è stato protagonista al Bri Forum, dove ha parlato con Xi anche di Medio Oriente. Ma la Russia è uno junior partner della Cina, e la guerra in Ucraina ne è testimonianza

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