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Il dimissionamento parlamentare del ministro della giustizia Annamaria Cancellieri avrebbe potuto costituire la concausa di una deflagrazione delle larghe e delle strette intese e dello stesso governo Letta-Napolitano, la Sarajevo che avrebbe fatto scoppiare la XVII legislatura, la legge di stabilità e tornare alle urne col porcellum.

Il premier ha dovuto metterci la faccia a Montecitorio e la sua reputazione politica nell’assemblea dei deputati dal Pd, riottosi a non agganciarsi al M5Stelle e alla loro mozione di sfiducia. Già in aula, però, autorevoli esponenti del Pd hanno espresso tutta la loro opposizione a quello che considerano un eccesso di clemenza verso i comportamenti del prefetto-ministro Cancellieri, avvertendo che votavano contro la mozione grillina esclusivamente per disciplina di partito. Nelle dichiarazioni televisive e giornalistiche postvoto, portavoce di Renzi hanno detto agli italiani, al Pd e implicitamente a Napolitano che “questa è l’ultima volta che votano per disciplina di partito”; e che, dal 9 dicembre, giorno successivo alla resa dei conti nella sinistra, tutto dovrà cambiare. E, in quel tutto, si intuivano anche possibili elezioni anticipate.

L’acuto e valente opinionista del “Corriere della Sera” Antonio Polito fa osservare che il mondo politico è diviso: “A un estremo ci sono quelli che perdonerebbero tutti per condannare se stessi; dall’altro i Torquemada che condannerebbero chiunque pur di guadagnarsi il favore popolare. In mezzo c’è il Pd”. Quest’ultima puntualizzazione è in realtà piuttosto generosa verso il Pd di Epifani e, fra poche settimane, di Renzi (quasi certamente) o di Cuperlo (in caso di ribaltamenti improbabili). In entrambi i casi il Pd – al cui interno è stata combattuta la battaglia sul nome della Cancellieri – è ed è risultato l’epicentro delle divisioni politiche, e non certo uno spartiacque fra i due estremismi contrapposti.

Non da oggi il Pd è un partito dai mille volti che si fanno artificiosamente prevalere a seconda delle convenienze e delle opportunità. Il Pd è tutt’altro che un centro equilibrato che, con moderazione e saggezza, affronta le tempeste della politica una volta arginando l’estremismo di destra, un’altra quello di sinistra, un’altra volta ancora il proprio disordine mentale oppure accoppiandosi coi grillini, i vendoliani o qualche dissidente di centro dando vita a maggioranze corsare, come tre volte ultimamente emerso in senato. Il Pd è una sinistra corporativa sempre meno radicata nel territorio, abituatasi a scegliere sistematicamente il proprio utile, non il necessario per il paese. Così agendo, occupa le maggiori posizioni istituzionali, anche in periferia, ma finisce con lo scontentare tutte le altre componenti interne che lamentano una qualche emarginazione. Finendo col lasciare sfilacciare la politica del suo stesso leader governativo, evaporare sia le larghe che le strette intese, non fornendo analisi di medio periodo, rafforzando l’astensionismo anziché recuperarne le parti non estremiste.

Il Pd, insomma, non è un partito virtuoso che contiene le velleità e gli eccessi delle altre formazioni politiche. Al contrario il Pd è ormai la nutrice, la fonte di quasi tutti gli equivoci che, sostenuti anche da media usi a ricorrere al pensiero unico per incapacità di riflessione, ed anche per presunzione antropologica, s’aggrovigliano in un’Italia dove troppi furbastri pensano di cambiare lasciando che tutto resti come prima.

Il Pd è la fonte di tutti gli equivoci

Il dimissionamento parlamentare del ministro della giustizia Annamaria Cancellieri avrebbe potuto costituire la concausa di una deflagrazione delle larghe e delle strette intese e dello stesso governo Letta-Napolitano, la Sarajevo che avrebbe fatto scoppiare la XVII legislatura, la legge di stabilità e tornare alle urne col porcellum. Il premier ha dovuto metterci la faccia a Montecitorio e la sua reputazione…

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