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In questo ciclo europeo di preparazione di programmi di bilancio Francia e Italia si trovano accomunati dal problema di perseguire strategie di stabilizzazione delle finanze pubbliche in presenza di forti venti contrari e partendo da posizioni finanziarie non troppo distanti. Incessanti sono le pressioni per un ampliamento della spesa per il welfare, specialmente sanità e pensioni, per incrementare il reddito disponibile delle famiglie, e per sostenere la crescita attraverso impulsi agli investimenti. Al tempo stesso, i persistenti disavanzi di bilancio e l’aver accumulato un ingente debito pubblico inducono a riportare entrambi su livelli di maggiore sostenibilità, indipendentemente dagli obblighi di aggiustamento assunti col nuovo Patto di Stabilità con l’Ue.

Gli sforzi di compressione dei disavanzi sono differenti, in quanto gli squilibri da correggere sono di diversa dimensione. Il programma di bilancio francese mira a ridurre il disavanzo dal 5,4% del Pil nell’anno corrente al 4,7% nel prossimo, mentre nel caso italiano si intende scendere dal 3% al 2,8% con un surplus nel saldo primario che aumenta all’1,2% del Pil. Malgrado l’aggiustamento programmato la consistenza del debito in rapporto al reddito nazionale continuerà a salire in entrambi i paesi in misura comparabile, ossia di circa 2 punti di Pil oltralpe (a 117,9% nel 2026) e di 1,3 punti circa per quello italiano (a 137,4%).

Nella strategia di aggiustamento si colgono, invece, diversità importanti che riflettono sia il diverso clima politico in cui i rispettivi Governi si trovano ad operare, sia il passato di squilibri e di interventi che si sono accumulati dalla crisi globale del debito nel 2008. La frammentazione politica francese dopo le ultime elezioni parlamentari ha impedito finora il formarsi di una solida maggioranza su cui il governo possa contare per affrontare il malcontento sociale e i problemi finanziari in cui versa il Paese.

Di fronte al prolungarsi della crisi di governo dall’inizio di quello presieduto da Bayrou, il nuovo primo ministro Lecornu, privo di una maggioranza parlamentare, ha opportunamente rimesso al dibattito parlamentare e alla conseguente votazione la decisione sulle singole misure proposte per la Legge di Bilancio. Il compito si presenta molto impervio non solo per le divisioni politiche in seno al parlamento, ma per gli alti livelli di spesa pubblica e di prelievo fiscale (rispettivamente 57% e 45,2% Pil) che eccedono nettamente quelli italiani (50,4% e 42,5%) e la media dei paesi dell’euro, e che devono essere ricondotti a dimensioni gestibili.

Si stima, in particolare, che la manovra di bilancio prospettata per il 2026 contempli tagli di spesa per 17 miliardi ed aumenti di entrate per 14 miliardi, una dimensione complessivamente superiore ai 18,7 miliardi di aggiustamenti proposti dal Ministro Giorgetti. La ripartizione dei tagli e dei prelievi tra i diversi capitoli del bilancio come delle nuove imposte sarà definita dall’Assemblea Nazionale nelle votazioni sui singoli punti. Le proposte governative, peraltro, si presentano decisamente sfidanti. I tagli di spesa colpirebbero le spese per l’impiego, la cooperazione allo sviluppo, i ministeri, l’ambiente, e anche quelle per il welfare, mentre si amplierebbe il capitolo destinato alla difesa. In presenza di un malcontento sociale che si è manifestato nella crescente preferenza degli elettori per i partiti estremi, la parte più ostica da fare accettare sta nelle economie di spesa per 7,2 miliardi nel campo dell’assicurazione sanitaria e nel congelamento della spesa pensionistica e per prestazioni sociali, entrambe già in deficit. Non basterebbe un semplice efficientamento dei servizi e delle gestioni previdenziali per ottenere al contempo i risparmi preventivati e garantire i livelli esistenti di protezione sociale.

Considerato il relativamente elevato grado di pressione fiscale su famiglie ed imprese, la manovra correttiva incide maggiormente sulle spese pubbliche che sul reddito di famiglie ed imprese. Ma alla fine la correzione si presenta graduale, ovvero modesta, in quanto la spesa pubblica pur aumentando di appena lo 0,3% al netto dell’inflazione, scenderebbe soltanto di quattro decimi di punto al 56,4% del Pil. In misura analoga lieviterebbe il grado di prelievo sui redditi, passando da 43,6% al 43,9%. Questi interventi secondo il Governo non dovrebbero impedire alla crescita economica di raggiungere l’1% l’anno prossimo rispetto allo 0,7% del 2025, e all’inflazione e all’occupazione di continuare su livelli stabili rispetto a quest’anno. Alla gradualità della manovra contribuisce anche la sospensione della riforma pensionistica per circa due anni e l’impegno a non adottare la legge di bilancio senza l’approvazione parlamentare.

Spetterà, quindi, all’Assemblea definire l’effettiva configurazione della manovra di bilancio e anche fissare i traguardi quantitativi da raggiungere nell’aggiustamento dei conti. Qualunque saranno, gli interventi maggiormente caratterizzanti il progetto di bilancio riguardano la leva fiscale, che accentua la progressività del prelievo impositivo sui redditi dei più abbienti e intende ridistribuire il carico fiscale per ragioni di maggiore equità. In particolare, introduce un contributo “eccezionale” sui grandi patrimoni finanziari e il prolungamento della sovraimposta eccezionale sulle grandi holding e di quella sugli alti redditi, mentre sgrava il carico sulle Pmi.

Il nuovo prelievo sui patrimoni è specificatamente destinato per finanziare gli investimenti, le infrastrutture, la difesa e la transizione verde. Non ha pertanto carattere generale, applicandolo erga omnes, né costituisce un’entrata generale e permanente, perché è presentata come un’imposta di scopo a termine, sebbene crei spazi per la copertura del welfare con altre entrate. In quanto tale, si distanzia dalla proposta Zucman, che è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e prevede un prelievo del 2% all’anno sui patrimoni sopra i 100 milioni ed è accompagnata dall’estensione della sua applicazione a coloro che per evitarla si trasferiscono all’estero.

La proposta di bilancio del governo italiano, sottoposta in questi giorni al Parlamento, si distanzia dall’approccio francese, riflettendo una diversa impronta politica e una maggiore attenzione a non scoraggiare l’imprenditoria e la formazione del capitale in funzione di stimolo alla crescita. Presenta un diverso bilanciamento tra tagli di spese ed interventi sulle entrate: i primi servono anche a coprire l’alleggerimento del prelievo sui redditi della fascia media dei contribuenti mediante l’abbassamento dell’aliquota e applicando un’imposta piatta sui nuovi aumenti contrattuali. A questi si aggiungono crediti d’imposta (bonus) per sollecitare la spesa delle famiglie, che indirettamente dovrebbero servire a sostenere la produzione interna. L’azione di ridistribuzione dei redditi a favore dei meno abbienti si completa con uno stillicidio di misure che portano l’ammontare del sollievo fiscale e delle misure assistenziali a circa 7,8 miliardi.

Dall’impiego della leva del fisco derivano altresì gli interventi a favore delle imprese sotto forma di spese fiscali, ossia ammortamenti accelerati di investimenti in beni materiali secondo la logica del programma Industria 4.0 e crediti di imposta per le Zes e Zls, a cui si accompagnano dal lato della spesa incentivi per il rinnovo delle attrezzature produttive da parte delle PMI e probabilmente garanzie sui prestiti bancari alla stessa categoria di imprese. Un’importante copertura finanziaria della manovra è costituita da quello che è chiamato contributo “volontario” delle banche e delle compagnie di assicurazione, ma che in realtà è un’imposta sugli utili da intermediazione finanziaria e servizi assicurativi con un gettito stimato in 4,5 miliardi circa per il 2026 e oltre 11 miliardi in totale nel triennio 2026-2028.

Dal lato delle spese, tagli a carico dei ministeri e rinnovo delle sovvenzioni per la formazione, l’innovazione, l’impiego dei giovani e la digitalizzazione. Nel bilanciamento complessivo della manovra il Governo interviene sul lato della spesa più che su quello di nuove imposizioni fiscali con l’obiettivo di allinearsi al limite di incremento concordato con l’UE. La riprogrammazione di circa 5 miliardi del PNRR per interventi nel 2026 permette di dare consistenza all’impegno a sostenere investimenti e riforme, impegno che altrimenti sarebbe sottodimensionato rispetto alle esigenze di rinnovamento dell’economia.

La manovra nel suo complesso appare prudente, come si addice a un paese che deve riportare debito pubblico e disavanzi sotto controllo e consolidare la fiducia dei mercati finanziari. Una manovra che non infierisce con nuovi o maggiori prelievi fiscali e che tende a una moderata ridistribuzione delle risorse per contrastare la povertà e sostenere i redditi da lavoro. Una manovra necessariamente prudente perché deve fronteggiare sfide insolite, quali il protezionismo americano, la necessità di investire maggiormente e meglio nella difesa del Paese, l’esigenza di sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina, le barriere commerciali dovute alle sanzioni e non ultima la perdita di competitività dovuta all’apprezzamento dell’euro. Non sembra, invece, orientata a dare slancio alla crescita, né a prolungare l’impulso impresso con l’attuazione del Pnrr.

Nel confronto con l’approccio della Francia, sorge l’interrogativo se applicando imposte patrimoniali in aggiunta a quelle esistenti si sarebbero generate nuove risorse da destinare a maggiori spese e finanziamenti per rinfocolare la crescita. È positivo che non si sia seguito l’esempio francese, perché il ricorso a patrimoniali di quel tipo comporta vantaggi di breve durata e costi considerevoli nel lungo periodo in termini di minori investimenti, minore accumulazione di capitale e disincentivi all’innovazione e all’imprenditoria.

Questo tipo di imposta è utile a perseguire obiettivi di perequazione dei redditi tra la popolazione, ridistribuendo anche il carico fiscale a favore delle persone a minor reddito. Permette di rafforzare la spesa per l’assistenza e la protezione sociale, ma pone difficili problemi di definizione, gestione ed elusione da un lato, e non dà garanzie sull’effettiva destinazione delle risorse, dall’altro lato. Al limite può alimentare la tendenza dei governi a spendere oltremisura, trascurando di continuare ad alimentare le sorgenti della crescita, che a sua volta è precondizione per finanziare la spesa sociale. In effetti, una patrimoniale permanente tende a deprimere risparmio e investimenti, e se coperta decurtando il patrimonio, sottrae risorse a impieghi più produttivi e anche all’innovazione.

Nel contesto attuale, pertanto, la manovra di bilancio del governo risponde ai criteri di equilibrio e prudenza, pur prestando attenzione a favorire ampi strati della popolazione, senza ricorrere a rischiose patrimoniali. Non opera, tuttavia, per colmare il venir meno della spinta alla crescita derivante dal Pnrr. A questo obiettivo dovrà, invece, dedicare il programma economico per il 2027.

Niente rischiose patrimoniali e giusta prudenza. La manovra vista da Zecchini

La manovra di bilancio del governo risponde ai criteri di equilibrio e prudenza, pur prestando attenzione a favorire ampi strati della popolazione, senza ricorrere a rischiose patrimoniali. Non opera, tuttavia, per colmare il venir meno della spinta alla crescita derivante dal Pnrr. A questo obiettivo dovrà, invece, dedicare il programma economico per il 2027. L’analisi di Salvatore Zecchini, economista Ocse

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