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Di populismi ce n’è più d’uno e non sempre li si può tutti mettere sotto accusa di disturbare il pensiero unico, conformista, che domina i media e ne sconvolge l’anima. In realtà il populismo (che si può attribuire disinvoltamente a qualsiasi gruppo politico che denunci le malefatte del potere) fu anche un movimento culturale e politico, e non solo un vizio di gruppi privi di orientamento preciso e aduso ad abbandonarsi ad una protesta diffusa.

Il populismo originario sorse dopo la metà dell’Ottocento fra gli intellettuali russi che propugnavano l’emancipazione delle classi diseredate. Cioè si batteva per la causa dei contadini, dei servi della gleba. Chiedeva per loro migliori condizioni di vita e postulava il ricorso a vaste riforme dell’ordinamento politico e burocratico dell’impero zarista. Perseguiva infine un’opera capillare di studio social-culturale delle popolazioni agricole, di educazione e di proselitismo. I conservatori, non solo russi, lo accusarono anche di abbandonarsi ad azioni violente, culminate nel 1883 nell’assassinio dello zar Alessandro II, con conseguente repressione poliziesca.
Fu la crescita e l’evoluzione delle idee socialiste e marxiste a disgregare il movimento populista; a ridimensionarlo nelle sue capacità di mobilitazione politica d’opposizione al regime tirannico; a costringerlo a ridursi su posizioni sentimentali. Ma il populismo resistette anche all’aggressione marxista, sviluppò ulteriormente il suo interesse per le condizioni degli umili, influenzò la letteratura e l’arte russa ed eurorientale.

A livello ideologico Lenin e il comunismo polemizzarono con le concezioni del movimento populista. E ciò portò la cultura marxista-comunista a definirlo come un movimento dalla forte connotazione negativa, uno strumento demagogico e velleitario che meritava repulsione e distruzione politica. Insomma chi si batteva per un impegno umanitarista ma non accettava di subordinarsi alle direttive e all’educazione leninista delle masse, cominciò ad essere spregiato come populista, come essere da emarginare e schiacciare per il suo sentimentalismo che bloccava l’espansione del comunismo.
Anche negli Stati Uniti nacque nel 1891 un partito populista. Era composto da gruppi di agricoltori e di operai aventi un programma favorevole alla nazionalizzazione dei mezzi di comunicazione, alla difesa del bimetallismo, porre dei limiti nella emissione di azioni; era favorevole alla elezione del presidente degli Usa con voto popolare diretto, e contrario al protezionismo e al predominio dei grandi proprietari. Tale partito era tutt’altro che sentimentale, si contrapponeva alla destra proprietaria agraria e si poteva considerare una forza popolare di sinistra liberale non liberista in economia. Per il mutamento della società americana, il partito populista statunitense andò progressivamente perdendo consensi, sino a sciogliersi nelle elezioni presidenziali del 1908.

La sinistra italiana, nelle sue varie conformazioni e deformazioni, ha sempre considerato il populismo come un avversario di classe, un rivale nelle rivendicazioni economiche, un atteggiamento che minaccia l’egemonia dei partiti marxisti ed espone il suo elettorato a sbandamenti equivoci, pericolosi, non validi ai fini della conquista del potere. Negli ultimi decenni repubblicani, nel lessico politico-parlamentare, sempre sotto l’influsso della interpretazione dell’estrema sinistra (e delle sue correnti filoterroriste), viene considerato populismo ogni raggrup-pamento politico che si distingua dalla sinistra ufficiale; ovvero si insedi in quei settori politici e sindacali di centro-destra che esprimano volontà riformatrici non gradite alla burocrazia che compone la nomenclatura dei partiti bolscevichi e postcomunisti o correlati ad una cultura unica.

Per questo si parla di populismi al plurale, specie sui media che oggi fiancheggiano il Pd (specie “la Repubblica” e la sua catena di quotidiani locali). Tutto ciò che non è controllabile dal Pd ma si presenta con ambizioni di rappresentare interessi popolari reali e non dottrinari, è bollato come populista. Con tale atteggiamento, e tenuto conto degli svariati gruppi confluiti a sostegno della candidatura Renzi, anche il retroterra elettorale della segreteria renziana potrebbe essere classificato come populista. Segno che ormai la cultura conformistica, con i suoi dileggiamenti propagandistici devianti, è pervenuta a definire populista chiunque non concordi con essa, proprio perché ignora cosa sia veramente il populismo nelle sue varie fasi storiche e presso comunità straniere ben più potenti, nel caso specifico, di quella italiana.

Il populismo e il Pd di Renzi

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