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L’effetto sorpresa, è sempre garantito. Non esiste al mondo una piazza finanziaria che non reagisca, bene o male, a un cambio importante dell’assetto politico in un Paese. Se poi il ricambio è più simile a una rivoluzione, allora l’effetto tsunami è assicurato. Succede con l’Argentina di Javier Milei, il pirotecnico economista dal look anni 70, fresco vincitore delle elezioni politiche. La politica economica di Milei è una specie di cocktail esplosivo, per palati piuttosto forti, se non altro perché a base di pressoché totale estromissione dello Stato dall’industria e di ancoraggio forte del peso al dollaro.

Milei, soprannominato El loco (il pazzo, ndr), punta infatti a rompere il duopolio dei macristi e dei peronisti, le formazioni che hanno dominato la democrazia del Paese dalla fine della dittatura militare (1983). I due partiti tradizionali, però, hanno perso il sostegno di ampie fette della popolazione, di cui il 40% vive sotto la soglia di povertà, a causa di una situazione economica disastrosa e alla corruzione diffusa in tutto il sistema. Ed è proprio a questi disillusi che Milei ha fatto appello durante la campagna elettorale, scagliandosi con particolare ferocia sull’entità percepita come nemica dell’Argentina e fautrice del suo collasso: l’apparato statale.

Di qui, mano pesante alle privatizzazioni, per cacciare il prima possibile quella presenza statale vista come madre di tutti i mali e la semi-utopica sostituzione del peso col biglietto verde americano. Ma anche, ed ecco la seconda gamba del programma, robusti e importanti tagli alla spesa pubblica, per porre fine al “modello impoverente dello Stato onnipresente, che beneficia solo alcuni mentre la maggioranza soffre”, per dirla con le parole dello stesso Milei. Un’impresa titanica, considerando che vi sono milioni di argentini che dipendono dall’assistenza sociale e dai sussidi governativi per carburante, elettricità e trasporti. Le casse del Paese, però, sono in rosso, questa non è certo una novità per un Paese con nove e default alle spalle. E non bisogna mai dimenticare il debito di 44 miliardi di dollari e il Fondo monetario internazionale che incombe sul governo che entrerà in carica il 10 dicembre.

E i mercati, cosa dicono? E cosa pensano? A guardare i grafici, all’indomani della vittoria di Milei, la Borsa di Buenos Aires ha capitalizzato il 21% in più, sia sull’indice S&P Merval che sul più ampio S&P Byma Argentina General. Ma già alla vigilia la vittoria dell’ultraliberista di destra Milei aveva spinto le quotazioni delle aziende del Paese sudamericano a Wall Street, dimostrando come gli asset argentini abbiano reagito positivamente all’affermazione di Milei.

Tra i nomi di rilievo, Ypf (Yacimientos Petroliferos Fiscales), società petrolifera a maggioranza statale (51%) a seguito della sua nazionalizzazione un decennio fa, che ha rimbalza del 38,9%, mentre le azioni del Grupo Financiero Galicia, holding di servizi finanziari con sede a Buenos Aires e la più grande tra tutte le banche private di proprietà statale, sono salite invece del 21%. Infine, Global X Msci Argentina Etf, fondo che investe nei più grandi titoli con un’esposizione in Argentina, è avanzata del 12%. E c’è stato anche un effetto sui bond in dollari con scadenza 2041, balzati dell’1,9% a 30 centesimi, mettendo a segno la migliore performance da gennaio.

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