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La Cina si sta facendo spazio nel mercato internazionale dei droni a uso militare. Il numero degli acquirenti per il Wing Loong, velivolo senza pilota interamente sviluppato e prodotto in Cina è in crescita, scrive il China Daily.

“I clienti che utilizzano il Wing Loong sono più di due. Stando a quanto ci hanno detto sono molto soddisfatti delle capacità e delle prestazioni del mezzo”, ha spigato Ma Zhiping, manager della China National Aero-Technology Import and Export Corp, citato dal quotidiano in inglese, intervenuto alla 15esima esposizione dell’aviazione a Pechino.

Ancora lo scorso giugno erano soltanto due i Paesi che si erano affidati ai Wing Loong, come detto allora dallo stesso Ma, che ora lascia intendere che i compratori possano essere tre, se non di più. La stampa cinese enfatizza le prospettive di export per i velivoli prodotti dalla CATIC. “Molti Paesi stanno realizzando i vantaggi nell’uso estensivo dei droni e la maggior parte deve importarli”, ha spiegato Wang Yanan, vicedirettore della rivista Aerospace Knowledge.

I prodotti cinesi sono descritti come una valida alternativa ai mezzi occidentali. L’attivismo di Pechino nel programma di sviluppo di propri aerei pilotati da remoto si sta rivelando però un nuovo tema d’attrito nei rapporti con gli Stati Uniti. La scorsa settimana il New York Times riferiva di intrusioni condotte da pirati informatici cinesi nei sistemi di almeno 20 società legate al settore della difesa per rubare dati sulla tecnologia dei droni.

Dietro le operazioni ci sarebbe un gruppo chiamato Comment Crew e gli attacchi sarebbero partiti da un edificio alla periferia di Shanghai. Il ministero degli Esteri cinese ha parlato di accuse “basate sul niente” e ha smentito il coinvolgimento dell’esercito. Per l’ennesima volta si è ripetuto il botta e risposta tra Washington e Pechino che, a sua volta, ha rimarcato come gli stessi cinesi siano bersagli di attacchi informatici.
“Pechino schiera i propri mezzi in ipotetiche arene di combattimento”, scrive il New York Times. Alla fine dello scorso anno si ipotizzò che fu un drone a scovare e uccidere un signore della droga birmano accusato di essere dietro la morte di alcuni marinai cinesi sul fiume Mekong. Mentre all’inizio del mese, il Giappone ha rilevato un velivolo cinese attorno alle Senkaku-Diaoyu, come sono chiamati gli isolotti contesi tra i due Paesi a seconda che si usi il nome giapponese o nipponico. Un volo compiuto in giornate simboliche, quelle del primo anniversario della rinazionalizzazione giapponese delle isole al centro della disputa, acquistate un anno fa dai proprietari privati.

Il rischio che l’uso dei droni possa far precipitare la situazione delle dispute nel Mar cinese orientale è stato dibattuto su Foreign Policy e The Diplomat, su posizioni opposte. Sulla rivista statunitense, Shawn Brimley, Ben FitzGerald, e Ely Ratner del Center for New American Security, vedono negli aerei pilotati da remoto come una minaccia e il rischio che dispute minori possano degenerare in conflitti aperti.

“Il problema non sono i droni in sé. L’Asia è nel mezzo della transizione a un nuovo regime di combattimento con un grave rischio di escalation. La modernizzazione militare della Cina mira a impedire la possibilità di movimento degli avversari sopra e sotto il Mar cinese orientale e meridionale. Sebbene la Cina sostenga che la sua strategia sia principalmente difensiva, l’ipotesi di guadagnare perimetro difensivo, con missili a lungo raggio, portaerei, sottomarini è di natura offensiva” scrivono.

Gli autori si dicono inoltre poco ottimisti per la scarsa esperienza dei militari e dei governi della regione nel gestire la tecnologia senza pilota. Ad esempio si chiedono fin dove sarebbero pronti a spingersi questi leader sapendo che la vita dei piloti non è a rischio. “In assenza di una leadership politica”, concludono, “queste tecnologie potrebbero portare a una guerra regionale.

Di parere diverso è invece James Holmes su The Diplomat, convinto che il rischio vero non sia nei droni, ma nei sottomarini. Gli aerei comandati in remoto sono più facilmente intercettabili, scrive, e questo dà modo di pesare le risposte: inviare mezzi per scortarli fuori dallo spazio aereo, intervenire per via diplomatica, abbatterli sapendo di mettersi magari contro un Paese più forte militarmente. L’uso dei droni rientra nella “diplomazia del bastone”, un po’ come le pattuglie inviate nelle acque contese.

I droni in Asia orientale sono un rischio?

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