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Ogni volta che in Italia si cerca di fare qualcosa di nuovo, si presenta sempre qualcuno che è contrario. Questo atteggiamento negativo costituisce una filosofia di fondo della sinistra, molto più radicata di quanto non lo sia una singolare valutazione di merito su un solo progetto.

Lo abbiamo constatato in passato in modo esponenziale con i 5 Stelle. Lo abbiamo visto ribadito da tutta la sinistra recentemente a proposito del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.

La procura di Roma, infatti, ha dovuto aprire un fascicolo di indagine senza ipotesi di reato e indagati in merito. L’iniziativa giudiziaria è stata dischiusa a seguito di un esposto presentato dal deputato AVS Bonelli, dalla segretaria Pd Schlein e a quello di Sinistra Italiana Fratoianni. Siamo alle solite. Il tutto supportato da un documento di nove pagine presentato il 1° febbraio su “progettazione e realizzazione dell’infrastruttura”. Il ministro Salvini ha commentato caustico: “Il Pd ha denunciato perché vogliamo fare il Ponte, un diritto di milioni di italiani”. E giustamente ha aggiunto: “Il Ponte sullo Stretto serve a unire milioni di siciliani, a inquinare meno, a viaggiare più in fretta. Il Pd ha fatto una denuncia perché vogliamo farlo. È un diritto di milioni di italiani di viaggiare più velocemente e sicuri. Solo in Italia si riesce fare una battaglia politica contro il Ponte, su un’autostrada, su una galleria, sulla Tav. Solo in Italia la sinistra riesce a dire no alle opere pubbliche”.

Ebbene, con buona pace di tutti, Salvini ha perfettamente ragione, tanto più che, purtroppo, questa deriva passivista e pessimista è da tempo un atteggiamento politico comune non del populismo posticcio, ideologico e retorico dei grillini, ma di una cultura ideologica decennale della sinistra ufficiale, oggi raccolta in modo unitario – non si sa ancora per quanto – nei Democratici.

In realtà, le origini ideologiche del Marxismo e in genere del laburismo erano di tutt’altra fatta e basterebbe rileggere qualche libello divulgativo di qualche decennio fa per confutarli e condannarli all’incoerenza. È sufficiente riflettere sul perché la “filosofia della prassi” costituisse l’ideale rivoluzionario di trasformazione del mondo teorizzato nei manoscritti economico-filosofici del padre del comunismo internazionale, nonché il tratto persistente del post-marxismo della Scuola di Francoforte, per mettersi l’anima in pace, senza dover scomodare altre fonti recenti più raffinate, come ad esempio una figura nobile della sinistra quale Jürgen Habermas, teorico appunto dell’identità di progresso e azione pragmatica nella società tecnologica.

Ecco che invece il Pci prima, già negli anni ’80 con la svolta anti nucleare e anti industriale, poi con l’irresponsabile inseguimento dei Verdi e infine con le paranoie ecologiste giunte ormai al parossismo (sensibilità opposta ad una sana visione ecologica), tutto insieme questo pacchetto di idee ha guidato i progressisti italiani (sic!) verso un’attitudine negativa verso ogni forma di progettualità produttiva, quasi che il lavoro e la distribuzione delle risorse dovessero essere ottenute sottraendo benessere piuttosto che creandone di nuovo. La lotta di classe proletaria è divenuta, insomma, invidia di una classe aristocratica smarrita nel niente nei riguardi della nazione nel suo voler crescere e migliorare nella sua industrializzazione.

In concreto il Ponte sullo Stretto è, senza dubbio, un progetto ambizioso; si può sicuramente discutere sulla sua priorità rispetto ad altro e sul modo di attuarne lo scopo. Ma boicottarne ideologicamente il programma infrastrutturale per via giudiziaria, a causa di preclusioni non meglio chiarite, costituisce un’assurdità pratica e un’incoerenza metafisica nei rispetti della propria ragion d’essere, nonché nei riguardi del materialismo dialettico che un tempo ispirava la forza di consenso di una sana filosofia politica progressista.

Diciamo la verità. La sinistra attuale, non solo italiana, ha un solo obiettivo: remare contro. Vi è un’adorazione del potere autocratico perduto e una delegittimazione quasi xenofoba per tutto ciò che non rientra nell’appartenenza al proprio classismo dirigenziale. Compito, viceversa, di una nazione povera di risorse com’è l’Italia è esattamente fare l’opposto. Produrre, mettere in atto progetti, realizzare la modernizzazione auspicata, è indispensabile a rendere il nostro Stato competitivo, o, in alternativa, non resta che rassegnarsi a regredire in un egualitarismo della miseria, divenendo schiavi dell’altrui potenza internazionale.

Ben venga, dunque, il progetto sullo Stretto; ben vengano insieme a questo altri programmi realizzabili: rimbocchiamoci le maniche tutti, lasciando perdere invidia sociale e complessi presunti di superiorità morale. Il tempo corre inesorabile. O vinciamo tutti insieme come italiani, produttori e lavoratori, oppure soccombiamo tutti insieme!

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Il ponte sullo stretto è, senza dubbio, un progetto ambizioso; si può sicuramente discutere sulla sua priorità rispetto ad altro e sul modo di attuarne lo scopo. Ma boicottarne ideologicamente il programma infrastrutturale per via giudiziaria, costituisce un’assurdità pratica e un’incoerenza metafisica. L’opinione di Benedetto Ippolito

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